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ITALIA NOSTRA – SEZIONI TRENTO E BELLUNO * DIGA VANOI: BALDRACCHI E CEINER, «LE NOSTRE OSSERVAZIONI AL PROGETTO PRELIMINARE»

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10.54 - lunedì 15 luglio 2024

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –

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Osservazioni preliminari al progetto del Consorzio di bonifica del Brenta, finanziato dal Ministero dell’Agricoltura, denominato Diga del Vanoi, documento di fattibilità alle alternative progettuali. “Serbatoio del Vanoi – realizzazione di un invaso sul torrente Vanoi e tutela della irrigazione nel comprensorio del Consorzio di bonifica del Brenta”.

La sezione trentina e la sezione di Belluno d’Italia Nostra presentano le seguenti osservazioni al progetto preliminare della diga sui torrenti Vanoi e Cismon nella valle del Vanoi. Questo documento d’Italia Nostra ha carattere preliminare: non è possibile affrontare in quindici giorni un tema tanto complesso e ricco di implicazioni multidisciplinari da impegnare progettisti e proponenti per più di un anno.

 

Trasparenza e pubblicità del progetto

A tutt’oggi, sui territori interessati non si è svolta alcuna campagna informativa: il progetto non è stato presentato in assemblee pubbliche, né in Consigli comunali, né in Consigli provinciali (Provincia autonoma di Trento, provincia di Belluno) e nemmeno nelle rispettive Regioni (Trentino Alto Adige e Veneto). Il progetto, con tutte le sue caratteristiche, implicazioni e conseguenze, non è stato messo a disposizione di cittadini, associazioni, comitati, enti pubblici. Il progetto avrebbe dovuto essere presentato con il supporto di esperti indipendenti, individuati da un ente pubblico in accordo con le Province di Belluno e di Trento e i Comuni interessati.

Il documento di fattibilità affronta solo le tematiche affrontate da una relazione che presenta diverse carenze, tra cui l’assenza d’indagini, anche storiche, riferite al sociale e alla morfologia del territorio, adeguate alla complessità della proposta e al contesto nel quale si inserisce. Ci riserviamo quindi, fin d’ora, la possibilità di presentare ulteriori osservazioni e integrazioni.

Il progetto è firmato da Lombardi Ingegneria srl, affiancata da Lombardi SA e Technital spa e, per le indagini geosismiche, da Progeo di Forlì. Il documento viene assunto dal Consorzio di bonifica del Brenta come progettazione definitiva, corredata da studi specialistici multidisciplinari, indagini e rilievi, prove di laboratorio (che nessun soggetto fra gli stakeholders ha potuto seguire), servizi accessori di progettazioni partecipate, assistenza nei procedimenti autorizzativi del progetto “Serbatoio del Vanoi – realizzazione di un invaso sul torrente Vanoi e tutela della irrigazione nel comprensorio del Consorzio di bonifica del Brenta”.

Il progetto prevede la costruzione di una diga alta 116 metri nel comune di Lamon (BL) che assicurerà la formazione di un invaso capiente fra i 20 e i 33 milioni di metri cubi d’acqua. Per il murazzo di contenimento sono previste due localizzazioni e 4 alternative. Gli obiettivi perseguiti sono diversi, alcuni in palese contraddizione fra loro:
– la laminazione di possibili e probabili piene che si riverserebbero nel fondovalle e in prossimità o lungo l’asse di scorrimento del fiume Brenta;
– l’accumulo di risorse di riserva idropotabile;
– l’accumulo destinato alla comunità dei sistemi irrigui, utili anche ad altri Consorzi limitrofi;
– la produzione di energia idroelettrica, definita energia sostenibile e rinnovabile, in assenza di una qualsiasi altra valutazione scientifica riferita, sia alla sostenibilità, sia alla rinnovabilità.

 

Il progetto e la pianificazione

Il progetto propone un intervento invasivo sul torrente e sul territorio di Lamon e Canal San Bovo, con un bacino che invaderà la valle per una lunghezza di 4 km e con una superficie di 1 km2.
Vanno ribadite queste considerazioni preliminari, essenziali a tutto il percorso istruttorio:
– nessuna pianificazione della Regione Veneto prevede l’infrastruttura proposta, né è stata recepita in un articolato progetto di bacino del fiume Brenta;
– nessuna pianificazione della Provincia di Belluno prevede l’infrastruttura proposta;
– nessuna pianificazione dei Comuni veneti interessati, fra i quali Lamon e Sovramonte, prevede l’infrastruttura proposta;
– la Provincia autonoma di Trento non prevede nella sua pianificazione la struttura proposta, anzi, diversi passaggi del PUP (Piano urbanistico Provinciale) indicano l’area interessata dall’invaso come area di alta valenza ambientale e a elevato rischio idrogeologico e geologico;
– la Comunità di valle del Primiero nella sua pianificazione non prevede l’infrastruttura proposta;
– nessun Comune trentino prevede l’infrastruttura proposta (Canal San Bovo, Imer, e Primiero, Sovramonte, Cinte Tesino);
– lo sviluppo del settore turistico legato alla fruizione delle rive lacustri è indicato come prospettiva in assenza di progettualità e di condivisione con i territori interessati.
I tempi e modi del confronto
Il documento del Consorzio del Brenta che apre il confronto, obbligatorio per legge, con i territori e i soggetti portatori di interessi generali, concede al volontariato 15 giorni per la redazione delle osservazioni di merito e preliminari: si tratta di valutare ben 10 studi, 45 file, mappe, relazioni tecniche, immagini e indagini sul territorio che richiedono competenze specifiche e multisettoriali.

Un progetto tanto articolato e complesso non può essere valutato, come già sottolineato, in tempi tanto brevi da non permettere verifiche e osservazioni esaustive. Gli enti e le associazioni coinvolti hanno bisogno di effettuare approfondimenti e verifiche con idonei criteri multidisciplinari e studi specifici. Così come banalizzato dai proponenti, il percorso partecipativo è inadeguato. Si tenga anche presente che in corso di analisi, perfino alla Provincia autonoma di Trento (lo Statuto di autonomia le conferisce piena titolarità in tema di urbanistica, pianificazione del territorio, gestione delle opere idrauliche, ambiente, paesaggio) sono stati negati gli accessi relativi al progetto: la notifica alle istituzioni, e rivolta solo ad alcune associazioni, è datata 2 luglio 2024.
Certo, il documento apre un confronto. Ma fin dall’inizio il confronto rimane ristretto ad enti individuati dai proponenti; sono assenti associazioni che rientrano nell’elenco aggiornato dal ministero dell’Ambiente. Per citarne solo alcune: LIPU, Pro Natura, Touring Club, Mountain Wilderness Italia. Fin dall’inizio la procedura di partecipazione adottata è inficiata da questa non trascurabile lacuna.

 

Nei contenuti

Siamo in presenza non di una emergenza ambientale causata dai cambiamenti climatici in atto (crisi idrica delle pianure, dell’agricoltura, dei rifornimenti di acqua potabile, crisi climatica globale e quindi con ricaduta locale, innalzamento delle temperature medie), ma di una crisi strutturale che non può essere affrontata in assenza di una pianificazione territoriale complessa che faccia riferimento alla Carta dei pericoli interregionali (sicurezza e approvvigionamenti anche idrici) e che preveda:
– il massimo rispetto delle aree protette, come ovvio comprendenti non solo le aree tutelate a parco, ma anche i siti relativi a Rete Natura 2000 quindi al rispetto delle direttive europee “Uccelli” e “Habitat”;
– il rispetto dei contenuti della Nature Restoration Law tesa a trasformare almeno 25.000 km di fiumi a corso libero entro il 2030 con l’obiettivo dichiarato di “rimuovere le barriere artificiali alla connettività delle acque superficiali”;
– il rispetto della Convenzione delle Alpi e dei suoi protocolli, in particolare quelli dedicati a paesaggio, turismo, consumo del suolo, foreste, energia, aree protette.

 

Le alternative

Le recenti deliberazioni dell’Unione Europea portano tutti i soggetti sociali e gli enti istituzionali a investire nel recupero di biodiversità e naturalità, anche correggendo errori del passato, comunque definendo e approfondendo valori ecosistemici fino ad oggi trascurati, vedasi la Nature Restoration Law, una disposizione dell’Unione Europea che ci impone di ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’UE entro il 2030, quindi anche aree umide d’acqua dolce, ambienti forestali e fiumi.

Nelle relazioni a sostegno del progetto della diga non si trova traccia di questa evoluzione legislativa recente che non è solo culturale, ma impone a noi tutti interventi anche strutturali. Grazie ad operazioni di stoccaggio dell’acqua con ricarica di falda controllata, lo si è dimostrato anche in Veneto, sono possibili alternative ai grandi invasi, molto meno costose e capaci di offrire alla società intera investimenti variegati. Si pensi alle Aree forestali di infiltrazione (AFI), studiate proprio in Veneto da Veneto Agricoltura. Su Acque Sotteranee – Italian Journal of Groundwater (2014) – G. Mezzalira, U. Niceforo, G. Gusmaroli, leggiamo:
“Oltre a contribuire al riequilibrio quantitativo delle falde, le AFI consentono potenzialmente di innescare fenomeni di fitodepurazione (depurazione naturale) delle acque di infiltrazione, che possono essere opportunamente sfruttati per finalità di tutela degli acquiferi. Inoltre le superfici forestali, che vengono messe a dimora e coltivate per favorire l’immissione di acque superficiali nel sottosuolo grazie all’azione degli apparati radicali, possono essere gestite con ulteriori molteplici finalità, come la produzione di energia rinnovabile nella forma di biomassa legnosa o la riqualificazione ambientale-paesaggistica o la valorizzazione fruitivo-didattica. In questo senso tali impianti, attraverso la produzione di specie arboree, concorrono a creare interessanti opportunità integrative di reddito per gli agricoltori e vantaggi economici che rendono sostenibile la loro diffusione.”

Le AFI svolgono dunque numerose funzioni positive per la comunità (servizi ecosistemici di interesse collettivo): ricostituzione del patrimonio idrico sotterraneo, rinascita delle risorgive, incremento della disponibilità di acqua per l’irrigazione, miglioramento della qualità delle acque sotterranee con riduzione della contaminazione da nitrati, produzione di energia rinnovabile, riduzione dell’emissione di gas serra, miglioramento del paesaggio, incremento della biodiversità. I cambiamenti climatici in atto sono un passaggio strutturale dell’umanità, non vanno reclusi nei recinti delle situazioni di emergenza.

Il Veneto ha già offerto spazio ed investimenti a progetti alternativi ai grandi invasi, si tratta di interventi sostenuti da fondi pubblici, condivisi con le popolazioni locali ed enti come il Consorzio del Brenta, sotto l’egida del Commissario nazionale della scarsità idrica Nicola Dell’Acqua già direttore di ARPAV e presidente di Veneto Agricoltura. Interventi realizzati a Colceresa (VI) nell’area di trasformazione di Lugia di Sondrigo (650 ettari), a Lupia di Sandrigo 650 ettari sull’Astico, a Maragnole di Breganze 990 ettari, a Cartigliano di Bassano 550 ettari, la centrale di Conca d’Oro di Bassano, tutti sul Brenta. Le alternative ci sono quindi, anche sperimentate in situazioni di emergenza, offrono garanzie certe come dimostrato dai recenti eventi alluvionali, costano fino a 30 volte meno dello sbarramento previsto sul Vanoi, e restituiscono, oltre alla sicurezza, la certezza di rifornimento idrico, la ricreazione e la rinaturalizzazione di spazi ampi.

 

Le criticità

Il progetto incide su un vasto areale naturalistico, un ambito fluviale che ospita diverse specie itto- faunistiche oggi minacciate di estinzione; una su tutte la trota marmorata (Salmo marmoratus), si tratta di uno dei pochi ambiti alpini dove la trota marmorata riesce a sostenere una riproduzione naturale, partendo dall’ultima briglia a Canal San Bovo per arrivare alla confluenza con il torrente Cismon. L’invaso impedirebbe la risalita del salmonide nelle aree di frega per alimentarsi e specialmente deporvi le uova: questa riproduzione non può avvenire in ambiente lacustre. Inoltre, vi sostano e si alimentano diverse specie di avifauna fra le quali il merlo acquaiolo (Cinclus cinclus).

 

Criticità geologiche e ambientali

L’intera area, quindi i due versanti del previsto lago, sono classificati nella pianificazione della Provincia autonoma di Trento come zone ad elevato rischio geologico definiti come R4 e R3, con presenza, documentata anche recentemente, di franamenti attivi.

Il PUP conferma i valori indicati e tutelati nel contesto ambientale: anche nel territorio trentino emerge la centralità del torrente Vanoi quale asse con valenza di corridoio ecologico e ambito di paesaggio legato all’acqua, immerso in un territorio montano caratterizzato da aree naturalistiche rilevanti sia per estensione sia per integrità.
Il capitolo delle ricadute sociali merita approfondimenti che nella progettazione non trovano riscontro. La formazione di questo lago quale ricaduta sociale avrà sulle popolazioni del Vanoi e del Primiero? Non vi è risposta.

 

Criticità idrauliche

Nel Piano Generale di utilizzazione delle acque pubbliche della Provincia autonoma di Trento, 15 febbraio 2006 e successivi aggiornamenti, si elencano le quantità di risorsa idrica già prelevate dai torrenti Vanoi (33,57 mc/sec) e Cismon (8,83 mc/sec); si tratta di quasi l’8% di tutte le derivazioni a scopo idroelettrico della provincia di Trento. Un prezzo in termini di consumo di suolo, di qualità paesaggistica, di naturalità, già ben pagato anche in termini di solidarietà rispetto alle necessità della pianura sottostante.

All’art. 7 delle norme di attuazione del PGUAP, si specifica che possono essere concesse ulteriori derivazioni per scopi idroelettrici per impianti con capacità produttiva inferiore ai 3000kW, comunque gli impianti devono essere a portata fluente (quindi non sbarrati) e non devono essere interessati da prelievi i fiumi Vanoi e Cismon (fra gli altri elencati, comma F). Nelle aree interessate da rischio geologico R4 non sono ammesse deroghe (art.16, comma 5).
Tutta l’area è interessata da un elevato rischio di esondazione: non si tratta solo di emotività risalente al disastro del Vajont, ma di concretezza vista la fragilità ben documentata nel PUP trentino e nelle carte geologiche.
Compensazioni

Il capitolo delle compensazioni non può essere definito nell’ambito della committenza progettuale. Dato per scontato che l’opera non s’ha da fare, l’approfondimento del tema deve trovare preventivo consenso e confronto con le aspettative sociali ed economiche delle popolazioni locali e nelle istituzioni che le rappresentano. Come già detto siamo in assenza totale di confronto, con documenti fino al 2 luglio 2024 tenuti segretati dal Ministero dell’Ambiente e dalla Regione Veneto.

Quando poi ci si trova in presenza della proposta di circuiti riferiti al turismo delle bike si entra nello sconforto più assoluto. Se è vero che nella realtà priviamo un’intera comunità della sua storia, di identità, di paesaggio e di tradizioni, non si vede come una tale ricaduta possa essere compensata con il sostegno ad un percorso ciclopedonale fra i due laghi (il previsto Vanoi e lo Schener), percorso collegato al Roadbike che da passo della Gobbera conduce verso il Primiero, sentiero MTB per esperti con un anello importante di 31 km e ben 1600 metri di dislivello.
Conclusioni

Italia Nostra ritiene che le proposte presentate risultino insostenibili su più fronti. Innanzi a tutto il tema sociale: una intera comunità, già oggi in sofferenza, si troverebbe sconvolta nei suoi equilibri storici, identitari ed economici dalla costruzione di un qualunque invaso, sia quello ritenuto minimale che quelli più estesi.

Dal punto di vista economico. I costi della diga non sono sostenibili: le alternative già maturate in Regione Veneto, dimostratisi in più occasioni efficaci, costano decine di volte meno. Dal punto di vista della sicurezza. L’intero areale che ospiterebbe l’invaso gravita su versanti già studiati e ritenuti a elevato rischio di frana, come documentato dalla carta geologica e dal Piano Urbanistico della Provincia autonoma di Trento.

Dal punto di vista della pianificazione. L’invaso non è inserito presso nessuna Istituzione pubblica del Veneto e del Trentino (Comuni, Comunità di valle, Provincia di Belluno e Provincia autonoma di Trento, Regione Veneto).
Dal punto di vista ambientale. L’eventuale lago provocherebbe nell’intera valle un mutamento climatico che non risulta essere stato attentamente valutato. Siamo in un’epoca di drastici cambiamenti climatici che stanno acuendo i rischi di perdita di biodiversità sia nel mondo animale (microfauna e macrofauna) che vegetale. Anche questo aspetto non risulta accuratamente studiato.

L’eventuale costruzione del manufatto con risultato della formazione del vasto lago (1 km2 di estensione) dovrebbe soddisfare più esigenze fra loro concorrenziali: l’accumulo di acqua per garantire rifornimento idrico all’agricoltura della sottostante pianura, produzione idroelettrica, riserva di acqua potabile, ricreazione turistica. Nello specifico caso di un periodo siccitoso, a quale di queste opportunità verrà offerto valore preponderante? In una situazione di vasta crisi idrica tutte le attese promesse entreranno in crisi.

Solo questo parziale insieme di criticità ci porta ad affermare che sul tavolo rimane utile solo l’opzione zero, rimandando la soluzione dei problemi reali dell’agricoltura del bacino della Brenta ad alternative già individuate in regione Veneto che non solo risolverebbero diversi problemi, ma porterebbero all’intero bacino fluviale una riqualificazione paesaggistica, naturalistica e funzionale con evidenti vantaggi, anche sociali ed economici che andrebbero a beneficio delle popolazioni che abitano l’intero areale.

 

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La Presidente Manuela Baldracchi

Italia Nostra Sezione trentina

 

La Presidente Giovanna Ceiner

Italia Nostra Belluno

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