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LETTERE AL DIRETTORE

MASÈ (LA CIVICA) * SANITÀ: « TSO, CON L’AUMENTO DEI DISTURBI MENTALI IL PROBLEMA È LA CARENZA DI RISORSE UMANE »

Scritto da
08.25 - sabato 11 maggio 2024

Gentile direttore Franceschi,

 

allego quanto oggi pubblicato sul quotidiano “l’Adige“ anche per consentire la visione ai lettori di Opinione.

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Vanessa Masè

Consiglio Provincia autonoma Trento (La Civica)

 

Si scrive TSO, si intende Trattamento Sanitario Obbligatorio. Pochi probabilmente riescono immediatamente a cogliere tutto l’universo che sta dietro questo acronimo, perché si tratta di una esperienza numericamente limitata rispetto ai numeri complessivi della società, ciononostante reale, delicatissima ed estremamente difficile per coloro che ne sono coinvolti: innanzitutto per la persona per cui viene richiesto questo tipo di trattamento, per i suoi familiari, per il Sindaco che firma l’ordinanza, per il personale sanitario e per le forze di polizia in ausilio a quest’ultimo. Si tratta di situazioni che hanno un prima e un dopo, con prologhi ed epiloghi assai variegati perché molto diverse sono le storie di ciascun individuo.

Recentemente l’Aula ha approvato la mozione n. 8, un testo da me proposto per redigere un protocollo per la gestione provinciale dei TSO e degli ASO che sia trasversale ed univoco; tema molto sentito che mi era stato stato evidenziato dalla Polizia Locale, forza deputata all’esecuzione dell’ordinanza del Sindaco, in quanto la gestione del paziente varia in base al distretto sanitario di appartenenza del territorio.

Il dibattito d’Aula, anche grazie a numerosi ex sindaci ora consiglieri, ha fatto emergere altri anelli deboli di questa complessa catena, e vorrei che queste righe potessero dare il via ad un dibattito pubblico sulla salute mentale per portare a galla un tema che purtroppo resta invisibile, benché sempre più emergenziale.
Partiamo dal quadro di riferimento: l’impennata dei disturbi emotivi nella popolazione, in particolare nelle fasce adolescenziali, confermata anche a livello locale; la trasformazione delle psicopatologie tradizionali, che si presentano spesso in comorbilità con altri disturbi e sconfinando in ambiti extra sanitari, sociali e giudiziari; la complessità delle vulnerabilità della popolazione migrante presente sul nostro territorio.

In tutti e tre i casi si tratta di persone che sono già, o nuovi, utenti dei servizi, servizi però soggetti a una pressione enorme, sia per la molteplicità delle difficoltà sia per l’assai difficoltoso reperimento di personale nelle varie figure necessarie, che determina uno scostamento rispetto agli standard suggeriti di un’ottantina di figure.
Drammaticamente, lo scenario attuale è quindi caratterizzato da un crescente divario tra bisogni e risposte: da un lato assistiamo all’incremento costante dell’incidenza dei disturbi mentali, dall’altra ci troviamo di fronte ad un enorme e grave problema di carenza di risorse umane, più grave nell’ambito della salute mentale che negli altri campi della sanità.

Ecco quindi che gli anelli deboli della catena si palesano in ciascuna delle “facce della medaglia” prese in considerazione: a questo mio editoriale infatti immagino seguire vari altri interventi.
Quello di una famiglia, di un genitore e del sentirsi fragili e soli di fronte alla gestione di un familiare affetto da qualche disagio mentale più o meno grave; di un professionista della salute mentale che, nel caso del Dipartimento transmurale di Salute Mentale, consta di ben 10 profili professionali (infermiere, infermiere psichiatrico, OSS, ausiliario specializzato addetto ai servizi socio-sanitari, operatore tecnico addetto all’assistenza, educatore professionale, tecnico della riabilitazione psichiatrica, assistente sociale, dietista, operatore tecnico), ciascuno con le proprie sfide, successi e fatiche; ma anche di un amministratore locale, per palesare la sensazione di inadeguatezza nel gestire il prima, durante e dopo la firma delle ordinanze, che sicuramente vorrebbe poter avere accesso ad una formazione specifica di supporto per la guida di questi delicatissimi interventi, magari fatta in collaborazione con il CAL e l’Azienda Sanitaria; di un membro delle forze dell’ordine, nel suo difficile ruolo di garanzia e mediazione; di un’assistente sociale, da cui emerge la situazione locale delle articolazioni incardinate presso le comunità di valle, sovente territori che, non riescono a rispondere adeguatamente ai principi di equità e prossimità a causa della disomogeneità nella distribuzione delle risorse dedicate alle attività territoriali e che indubbiamente in qualche modo si riversa sull’assistenza sociale.
Cogliete questo appello a parlare di disagio, perché c’è bisogno della voce e dell’esperienza di tutti per affrontare questa grande emergenza del nostro tempo, in cui “non c’è salute senza salute mentale”.

 

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