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CORTE CASSAZIONE * RELAZIONE AMMINISTRAZIONE GIUSTIZIA 2023: MARGHERITA CASSANO, « FEMMINICIDI, SU 330 OMICIDI LE DONNE RISULTANO VITTIME IN 120 CASI »

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19.10 - giovedì 25 gennaio 2024

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –

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Corte di Cassazione: Margherita Cassano.
Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2023.

 

Considerazioni finali

Rendo onore al Presidente della Repubblica, garante dei valori sanciti dalla Costituzione in cui tutti ci riconosciamo.
Ringrazio e saluto le Autorità e gli ospiti intervenuti, insieme con tutte le donne e gli uomini che lavorano per la Magistratura e per la Corte.
Le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario sono talora intese come un rituale solenne nella forma, ma sostanzialmente ripetitivo e, quindi, inutile. Altre volte vengono trasformate in occasioni per cahiers de doléances. Il mio auspicio è, invece, che questa assemblea possa costituire un momento di riflessione e di confronto, possa fornire alla collettività un rendiconto di tutti gli sforzi profusi per garantire un corretto, tempestivo, moderno funzionamento della giustizia, trasmettere un messaggio di speranza basato sulla concretezza dei dati sì da contribuire a rinsaldare la fiducia dei cittadini nei confronti delle Istituzioni.

 

L’impegno della Magistratura nell’attuazione delle riforme

L’anno appena trascorso ha visto l’intera magistratura sia ordinaria che onoraria impegnata nel dare attuazione alle riforme del processo civile e penale varate nel 2022. Si è trattato di uno sforzo corale animato da alta tensione ideale, da grande senso di responsabilità, da scrupolosa attenzione agli aspetti organizzativi quale componente essenziale della cultura del magistrato. La legittimazione si rinnova quotidianamente con la risposta meditata e responsabile alle domande di giustizia, la tutela dei diritti fondamentali della persona, il rigoroso rispetto delle garanzie difensive, l’osservanza del metodo del contraddittorio, l’attento ascolto delle ragioni degli altri, il costante confronto con l’Avvocatura e l’intera comunità dei giuristi, la leale collaborazione con le altre Istituzioni, oltre che con comportamenti ispirati a equilibrio, sobrietà, riservatezza.

Richiede anche la consapevolezza delle molteplici implicazioni del tempo nella vita delle persone e nello sviluppo economico del Paese. Martin Heidegger, allorché si accinse a scrivere un saggio sul tempo, affermò che gli mancavano le parole per poter parlare di questo argomento. Eppure il tempo è costitutivo della nostra identità nel senso che assicura una sorta di permanenza a noi interna che riesce a rendere coerenti le varie esperienze facenti parte della nostra vita.
Rendere la giustizia efficace attraverso un reale recupero di efficienza dei suoi apparati deve costituire un obiettivo di lunga durata per le Istituzioni di uno Stato moderno, anche in funzione della programmata politica di crescita e di sviluppo.

 

I dati riguardanti il lavoro di Tribunali e Corti d’appello nel settore civile

Nel settore civile le pendenze sono diminuite dell’8,2% nei Tribunali e del 9,8% nelle Corti d’appello. La durata media dei procedimenti si è ridotta in primo grado del 6,6% e in appello del 7%. Il disposition time è sceso del 6,4% nei Tribunali e del 6,4% nelle Corti d’appello.

 

Gli aspetti della riforma che hanno maggiormente inciso sull’effettività della risposta giudiziaria in ambito civile

Fra i tanti aspetti delle modifiche normative che hanno reso possibili questi risultati confortanti desidero citarne uno in particolare: la mediazione. Dai dati ministeriali emerge, infatti, una sua significativa applicazione soprattutto nelle cause in tema di successione, divisione ereditaria, diritti reali, condominio, assicurazione, responsabilità extra- contrattuale già instaurate, a dimostrazione di un mutamento condiviso di cultura di giudici e avvocati. Come osservato dalla dottrina, il valore della mediazione non risiede soltanto nella sua capacità deflattiva, quanto piuttosto nella sua idoneità a realizzare la coesione sociale, a porre al centro la persona, prima ancora che la “parte”, a restituire agli individui l’opportunità di comprendere le ragioni del conflitto e di acquisirne la consapevolezza, a promuovere l’ascolto empatico dell’altro, a gestire relazioni efficaci attraverso il confronto.

 

I dati relativi al lavoro svolto da Tribunali e Corti d’appello nel settore penale

Negli uffici di merito, nel settore penale le pendenze si sono ridotte del 13% nei Tribunali e del 6,5% nelle Corti d’appello; un dato tanto più significativo ove si consideri l’aumento dei procedimenti di nuova iscrizione pari complessivamente nel 2023 a 2.447.467 rispetto ai 2.413,467 del 2022 e ai 2.423.842 del 2021 (+1,4% rispetto all’anno precedente).
Il numero dei procedimenti definiti è aumentato dell’8,3% in primo grado e del 10,6% in appello.
Il disposition time è sceso, in Tribunale, a 310 giorni, rispetto ai 386 del periodo precedente e, in Corte d’appello, a 689 giorni rispetto agli 815 del periodo precedente. È, quindi, possibile formulare una prognosi di conseguimento degli obiettivi fissati dal PNRR, pari, rispettivamente, a 282 giorni per i Tribunali e a 601 giorni per gli Uffici di secondo grado.

 

Gli aspetti della riforma che hanno maggiormente inciso sull’effettività della risposta giudiziaria in ambito penale

Sono dati che fanno razionalmente sperare e trovano la loro ragione di essere nell’organico intervento riformatore del 2022. Desidero evidenziare alcuni tra gli aspetti più significativi. Nel settore del diritto penale sostanziale ha ricevuto regolamentazione compiuta la giustizia ripartiva, è stata superata l’ottica carcero-centrica ed è stato introdotto un inedito, ampio ventaglio di risposte punitive, volte, soprattutto per i reati di minore gravità, a privilegiare forme risarcitorie e restitutorie. Nel settore processuale si sono registrati un’anticipazione e un rafforzamento delle garanzie, un potenziamento degli istituti volti a velocizzare il processo e delle forme anticipate di sua definizione, sì da riservare al dibattimento solo i casi più gravi, oltre che una responsabilizzazione degli attori processuali. In questo quadro, norme come quelle sull’iscrizione della notizia di reato, sulle finestre di giurisdizione, sulle regole di giudizio per l’esercizio dell’azione penale, sui parametri di valutazione prognostica ai fini del rinvio a giudizio hanno un diretto raccordo con la presunzione di innocenza, prima ancora che una mera funzione aceleratoria.

Particolare rilievo assumono, nell’ottica del giusto processo e dell’effettività della risposta giudiziaria, le nuove previsioni in tema di processo in absentia, volte a evitare la celebrazione di processi nei confronti di persone irreperibili, ignare della loro pendenza e per tale ragione non in grado di parteciparvi, e l’introduzione di nuovi rimedi per consentire, dopo la sentenza irrevocabile di condanna, la nuova celebrazione di nuovi processi in caso di riscontrate violazioni del fair trial da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Si tratta, a ben vedere, di novità rilevanti, che vanno ben oltre il mero efficientismo, e contribuiscono ad un recupero di effettività della risposta giudiziaria.

 

I dati relativi al lavoro svolto dalla Corte di cassazione

Anche la Corte di cassazione ha conseguito risultati significativi.
Su un totale di 94.759 procedimenti civili (il 54,6% è in carico alle Quattro Sezioni civili e il 44,2% alla Sezione Tributaria) le definizioni ammontano a 34.793. L’indice di ricambio è salito al 141% rispetto al 121,3% del 2022. Il disposition time è pari a 1.003 giorni e registra una diminuzione di 60 giorni rispetto al 2022 e di 299 giorni se raffrontato con i dati di partenza del 2019, assunti come parametro di comparazione ai fini del PNRR. Per conseguire l’obiettivo di 977 giorni fissato al 30 giugno 2026 è necessaria la diminuzione di ulteriori 26 giorni.

Il contenzioso più risalente, ultra-biennale, è passato da 53.077 procedimenti del 2022 a 49.590 al 31 dicembre 2023. Dei 34.793 definiti nel 2023 circa 7.000 (pari a 1/5) risultano iscritti nel 2022, e 1.373 nel 2023.
In ambito penale, pure a fronte dell’aumento del 4% delle iscrizioni (passate da 45.363 a 47.157), i procedimenti definiti sono stati pari a 50.350 con un indice di ricambio pari al 106,8%. Le pendenze sono diminuite del 17,4% (15.125 rispetto alle 18.318 dell’anno precedente). La durata media è scesa dai 184 giorni del 2022 agli attuali 134 giorni. Il disposition time è pari a 110 giorni rispetto ai 132 dell’anno precedente e, quindi, è già inferiore all’obiettivo dei 166 giorni il cui conseguimento è fissato al 30 giugno 2026.
I risultati raggiunti in entrambi gli ambiti sono tanto più significativi, ove si considerino la percentuale delle vacanze dell’organico dei magistrati pari al 23% (destinata a crescere per effetto dei pensionamenti) e la scarsità delle risorse del personale amministrativo (oscillanti tra il 32% e il 34%)

Dietro l’apparente aridità dei dati si nasconde lo sforzo eccezionale compiuto da tutti i magistrati e il personale amministrativo della Corte, coadiuvati dagli addetti all’Ufficio per il processo e dai tirocinanti a cui rivolgo il più sentito ringraziamento.
I carichi di lavoro della Cassazione non hanno eguali nel panorama delle altre Corti europee e richiederebbero interventi normativi per rafforzare la funzione nomofilattica.

 

Il percorso di auto riforma della Corte di cassazione dopo le recenti modifiche normative.

Le riforme che hanno interessato il processo civile e penale di legittimità hanno profondamente inciso sui modelli di autorganizzazione della Corte incentrati sulle seguenti scelte: a) individuazione di aree tematiche all’interno delle Sezioni e rafforzamento della specializzazione dei magistrati ad esse addetti per favorire la formazione di orientamenti interpretativi coerenti e per superare i contrasti giurisprudenziali, oggetto delle puntuali segnalazioni dell’Ufficio del Massimario il cui ruolo è di primaria importanza per la vita della Corte; b) creazione anche in ambito civile dei c.d. ufficio spoglio, incaricati dell’esame preliminare dei ricorsi per effettuare una cernita ragionata delle questioni di reale interesse nomofilattico; c) formazione di ruoli di udienza per gruppi tematici e, nel settore civile, composti, in quote proporzionali, da ricorsi più risalenti e da altri di più recente iscrizione sì da definire l’arretrato e, al contempo, da rendere più tempestivo il messaggio nomofilattico; d) fissazione dei ricorsi in udienza pubblica o camerale secondo parametri generali e predeterminati che non penalizzino il contributo dialettico della Procura generale e della difesa; e) diffusione del processo civile telematico; f) creazione di banche dati del lavoro svolto e del cruscotto di monitoraggio – messo a punto dal Politecnico di Milano nell’ambi- to della collaborazione con la conferenza dei Rettori delle Università italiane, a suo tempo promossa dal Ministero della Giustizia – che con- sente di avere contezza in tempo reale dei flussi di lavoro, dello stato di definizione delle pendenze e dei relativi tempi.

A queste misure più strettamente organizzative si è accompagnato il recupero di un forte dialogo interno che ha trovato la sua espressione nella istituzione di gruppi di studio intersezionali per approfondire l’analisi delle complesse questioni processuali poste dalle riforme e offrire risposte organiche a temi comuni al settore civile e a quello penale (crisi d’impresa e insolvenza e reati societari e fallimentari, violazioni tributarie, sanzioni amministrative, responsabilità civile per colpa professionale, immigrazione) e nella elaborazione di criteri logico- sistematici per la motivazione dei provvedimenti giudiziari improntati a completezza, sintesi, essenzialità, proporzionalità delle argomentazioni rispetto alla rilevanza nomofilattica delle questioni poste con i motivi di ricorso, oltre che a chiarezza del linguaggio, nella consapevolezza che la motivazione costituisce il corollario del principio di legalità sancito dall’art. 102, 2 comma. La moltiplicazione di spazi di riflessione e confronto non solo promuove una dimensione collegiale del lavoro anche in sedi diverse dall’udienza, ma valorizza l’apporto propositivo di ciascun magistrato alla vita della Corte che si alimenta della pluralità dei punti di vista e delle esperienze.

 

 

La complessità dell’attività interpretativa e la necessità di uno stabile quadro di riferimento normativo

È stato così avviato un ricco e stimolante percorso culturale che necessita però, di tempi fisiologici di studio e approfondimento, affinché le decisioni adottate possano avere uno sviluppo sistematico e fornire messaggi coerenti e comprensibili in grado di orientare l’accesso alla giustizia, le scelte dei cittadini e dei loro difensori. La rapida successione di leggi, soprattutto se ispirate da logiche settoriali, determina i presupposti di possibili incoerenze del sistema complessivo e pesanti ricadute sul funzionamento della giustizia, attesa la stretta interdipendenza esistente tra regole sostanziali e processuali e modelli organizzativi proiettati a garantire la corretta e utile celebrazione di processi nell’osservanza dei diritti fondamentali.

Provoca anche incertezze interpretative nella individuazione della regola applicabile. La centralità del momento interpretativo trova, per la Corte di cassazione, uno specifico riconoscimento nell’art. 65 del R.D. n. 12 del 1941 che le affida il compito di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, delineando un intreccio indissolubile tra questi compiti, il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinnanzi alla legge – che per essere tale deve comprendere le interpretazioni date alla legge – la tutela dei diritti e delle libertà.

L’attività d’interpretazione è oggi resa più complessa dal sottile confine dogmatico e valoriale sotteso alla distinzione tra diritti, mere aspettative, desideri individuali, dalla molteplicità delle fonti nazionali e sovranazionali, dalla necessità di assicurare l’adeguatezza e la congruenza del sistema processuale interno rispetto ai livelli di garanzia richiesti dal diritto eurounitario.
Inoltre, l’inarrestabile divenire sociale pone talora il giudice nella condizione di fornire risposta a richieste di tutela di diritti inedite: in questi casi al giudice è richiesto uno sforzo particolare nell’individuare soluzioni ancorate esclusivamente al diritto positivo e coerenti rispetto al sistema delineato dal legislatore in una dimensione che sappia sapientemente coniugare il principio di effettività della tutela giurisdizionale con quello di leale collaborazione con gli altri poteri dello Stato.

 

Nomofilachia “circolare”

Parte di questo complesso percorso ermeneutico è non solo la Corte di cassazione, ma anche il giudice di merito, chiamato a fornire risposta alla domanda di giustizia, a prendere contezza degli esiti delle proprie decisioni nelle successive fasi del giudizio, a misurarsi criticamente con le sentenze della Corte di cassazione e con la loro efficacia persuasiva. In questo senso è possibile affermare che anche il giudice di merito è parte del processo nomofilattico cui è chiamato a fornire il suo responsabile e informato contributo professionale.
In questa prospettiva “circolare” la nomofilachia si connota non come valore assoluto, né fattore di cristallizzazione degli orientamenti interpretativi, bensì, come acutamente osservato dalla dottrina, come valore metodologico che, nel divenire dell’elaborazione giurisprudenziale, confluisce dinamicamente nel “dovere funzionale di ragionevole mantenimento della soluzione ragionevolmente conseguita”.

 

 Nomofilachia dialogica e plurale

Una nomofilachia che voglia dirsi plurale deve essere aperta al costante confronto con l’intera comunità dei giuristi, a partire dalla dottrina, i cui contributi scientifici sono oggetto di costante studio e approfondimento da parte dei magistrati della Corte che da essa traggono linfa anche per rileggere criticamente le loro scelte o per affrontare nuovi e inesplorati profili interpretativi.
Nella consapevolezza che la pluralità degli apporti e la diversità delle prospettive costituiscono un fattore obiettivo di arricchimento (nomofilachia dialogica), la Corte di cassazione è impegnata in un fecondo confronto con uno dei protagonisti ineliminabili della giurisdizione, l’Avvocatura cui spetta promuovere l’equilibrio tecnico dell’esercizio del potere giudiziario, l’osservanza delle garanzie del processo, il rispetto della regola del ragionevole dubbio nella ricerca della verità.

L’avvocato, al pari del giudice, è, inoltre, il garante dell’attuazione dei valori fondamentali enunciati dalla Costituzione, a partire dalla promozione e dalla tutela effettiva della dignità e della libertà della persona che debbono essere assicurate anche da rapporti con i mezzi di informazione e i media improntati a rigorosa deontologia professionale.
La coesione culturale di avvocati e giudici intorno a questo nucleo di valori e alla loro attuazione concretizza la comunità giuridica al ser- vizio del Paese, costituisce la precondizione per rafforzare l’autorevolezza complessiva della giurisdizione e allargarne le prospettive e l’orizzonte interpretativo.
Con questa comune sensibilità è stata avviata la seconda esperienza dei “dialoghi” tra magistrati della Corte e avvocati sulle tecniche di redazione dei ricorsi e dei provvedimenti allo scopo di promuovere la qualità degli atti nella prospettiva dell’effettività della tutela giurisdizionale.

Sempre più stretta è l’osmosi tra Corte di cassazione e Corte costituzionale a presidio dei diritti fondamentali.
Il dialogo con le Corti europee è, sua volta, sempre più intenso nella consapevolezza che l’adesione comune a valori primari condivisi, l’integrazione giudiziaria e l’opera di Corti sovranazionali poste a garanzia del riconoscimento di tali diritti contribuiscono a formare una coscienza avanzata di comune appartenenza all’Europa, costituente il presupposto essenziale di pace e sviluppo tra gli Stati membri e fondamentale per gli equilibri politici, sociali, culturali.

Molto stimolante appare il confronto anche con il Consiglio di Stato e la Corte dei conti che ha consentito di promuovere letture unificanti del sistema di tutela giurisdizionale e di privilegiare l’unità della funzione giurisdizionale sulla base di una comune cultura. Cito l’importante seminario promosso su questo argomento dalla Corte dei conti a Palermo lo scorso autunno e il promovimento di stabili forme di confronto con il Consiglio di Stato mediante la creazione di un gruppo di lavoro incaricato di approfondire questioni interpretative su temi relativi al riparto di giurisdizione e di verificare la possibilità di elaborazione di convergenti linee di orientamento da offrire ai futuri sviluppi giurisprudenziali nelle sedi proprie.

 

La situazione carceraria. L’esecuzione delle pene

Permane il sovraffollamento carcerario con una presenza di 62.707 detenuti (di cui 2.541 donne) rispetto ai posti disponibili pari a 51.179 anche se cominciano a registrarsi i primi effetti deflattivi della riforma del 2022.
Aumenta la presenza dei detenuti condannati con sentenza irrevocabile (44.174), mentre diminuisce il numero delle persone sottoposte a custodia cautelare, in attesa di primo giudizio, appellanti o ricorrenti a dimostrazione del rispetto del principio di gradualità e proporzionalità nella adozione delle misure limitative della libertà personale.

Preoccupa il numero delle procedure (90.120) relative ai c.d. “liberi sospesi”, ossia a persone condannate in via definitiva a pene fino a quattro anni di reclusione nei cui confronti il pubblico ministero, contestualmente all’ordine di esecuzione della pena, deve emettere un provvedimento di sospensione della stessa per consentire la presentazione di istanze di misure alternative alla detenzione. Pertanto, in attesa della presentazione delle stesse e della relativa decisione da parte del Tribunale di sorveglianza, l’esecuzione non può avere luogo. A tale pendenza, già considerevole, deve essere aggiunta quella, altrettanto significativa, relativa alle pratiche già in carico agli Uffici per l’esecuzione penale esterna (UEPE), incaricati dell’istruttoria delle procedure.

In base alle leggi 26 luglio 1975 n. 354 e 28 aprile 2014, n. 67, nonché al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150 e alle altre leggi in materia di esecuzione penale i compiti dell’UEPE comprendono cinque aree di intervento: a) attività di indagine sulla situazione individuale e socio – familiare nei confronti dei soggetti che chiedono di essere ammessi alle misure alternative alla detenzione, alla messa alla prova, alle pene sostitutive; b) attività di elaborazione e verifica dei programmi di trattamento; c) svolgimento delle inchieste per l’applicazione, modifica, proroga o revoca delle misure di sicurezza, su richiesta della magistratura di sorveglianza; d) esecuzione delle misure alternative alla detenzione e delle sanzioni e misure di comunità, ivi comprese le pene sostitutive delle pene detentive brevi; e) attività di consulenza agli istituti penitenziari per favorire il buon esito del trattamento penitenziario.

Due recenti circolari del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, da cui dipendono gli UEPE, hanno dato indicazioni operative sulla funzione di probation affidata al personale UEPE nel seguire il percorso trattamentale (circolare del 5 ottobre 2023) e sulle specifiche funzioni affidate in seguito all’entrata in vigore della legge 24 novembre 2023, n. 168, recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica” (circolare Direzione generale per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del 6.12.2023).
In questo ampio contesto di attribuzioni, attualmente presso gli Uffici UEPE su di un totale di 2716 unità previste dalla pianta organica risultano coperti soltanto 1635 posti con conseguente scopertura di 1070 posti. Le scoperture più significative sono rappresentate da quelle dei funzionari della professionalità di servizio sociale (su un totale di 1603 unità, sono presenti in servizio 1091 persone in servizio con con- seguente scopertura di 512 posti) e dei funzionari della professionalità pedagogiche (su un organico di 322 unità si registrano scoperture pari a 309 unità, con un totale di personale presente pari a 13 unità).

L’elevato numero delle procedure pendenti e le vacanze dell’organico degli Uffici UEPE inducono, quindi, a ritenere che sussista il rischio obiettivo che, per una larga parte delle persone condannate a pene detentive brevi, l’espiazione della condanna, sia pure in forme alternative a quelle tradizionali, possa intervenire a distanza di molti anni dal fatto così vanificando il significato costituzionale della pena e negando il diritto alla speranza nei confronti di persone che, dopo la commissione del reato, hanno cambiato vita. Sotto diverso profilo, arretrato e lentezze nella definizione di tali tipologie di procedure dovuti alla scarsità delle risorse umane possono comportare la prescrizione della pena che, ai sensi dell’art. 172 cod. pen., ha inizio il giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile (Sez. U, n. 46387 del 15/07/2021) con conseguente vanificazione della funzione special- preventiva della pena.

 

Infortuni sul lavoro

Dai dati messi a disposizione dall’Inail risulta che le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale sono state, nei primi undici mesi del 2023, 968 (38 in meno rispetto alle 1006 del periodo gennaio- novembre 2022, 148 in meno rispetto al 2021, 183 in meno rispetto al 2020 e 29 in meno rispetto al 2019). I dati, pur se in lieve flessione rispetto all’anno precedente, continuano ad essere l’espressione di una grave patologia sociale cui è urgente porre rimedio mediante una forte azione preventiva incentrata sul recupero di effettività di controlli seri, efficaci, moderni, capillari. In un moderno Stato di diritto non è tollerabile che si continui a morire a causa del lavoro.

 

Femminicidi

Il vocabolario Treccani ha scelto come parola dell’anno la parola femminicidio, definita come “uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale”. Si è trattato di una scelta unanime e determinata per stimolare la riflessione su di un crimine odioso e per sollecitare la presa di coscienza su reati che si verificano con preoccupante frequenza.

Nel periodo in esame, su un totale di 330 omicidi (in lieve aumento rispetto ai 325 dell’anno precedente e ai 308 del 2021), le donne risultano vittime in 120 casi (rispetto ai 128 del 2022 e ai 122 del 2021). In 97 casi (rispetto ai 104 del 2022 e ai 105 del 2021) i delitti sono maturati in ambito familiare o nel contesto di relazioni affettive. Desta grave preoccupazione il fatto che dei sette omicidi volontari consumati già nella prima settimana del 2024 tre vedano come vittima una donna. I femminicidi costituiscono spesso il tragico epilogo di reati cd. “spia”, espressivi di condotte violente (violenza privata, violazione di domicilio, lesioni, maltrattamenti in famiglia, stalking) che richiedono particolare attenzione, competenza, professionalità e tempestività d’intervento per impedire conseguenze ben più gravi.

È altrettanto indubbio, però, che un forte impegno della Polizia giudiziaria e della Magistratura non è sufficiente e che esso deve essere preceduto da una forte azione di sensibilizzazione e prevenzione culturale e sociale e da azioni di ampio respiro che coinvolgano non solo la famiglia e la scuola, ma l’intera collettività e siano in grado di incidere sulle cause generali di questa drammatica involuzione delle relazioni interpersonali, in cui sulla dimensione affettiva prevalgono tragicamente l’idea del possesso e del predominio sulla donna e il disconoscimento dell’uguaglianza di genere. Occorre, inoltre, promuovere l’indipendenza economica delle donne, in quanto non può esservi libertà di denuncia senza la libertà dai bisogni primari. Conclusivamente, citando Simone De Beauvoir, mi auguro che la vita di ogni donna sia “pura e trasparente libertà”.

 

 

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PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE. LUIGI SALVATO

INTERVENTO sull’amministrazione della giustizia nell’anno 202

Signor Presidente, nel rivolgerLe il mio deferente saluto, interpretando i sentimenti della magistratura requirente, mi permetta di esprimerLe sincera gratitudine per l’attenzione che riserva ai temi della giustizia, per essere guida di tutti i magistrati.
Rivolgo il mio saluto ai rappresentanti delle Istituzioni e delle Forze dell’ordine, ai magistrati, all’Avvocatura, al personale, a tutti gli ospiti qui intervenuti.

Nell’anno decorso si è rafforzato il recupero dell’efficienza del sistema giustizia; ne dà conto l’Intervento scritto ed è attestato dal Rapporto sullo stato di diritto 2023 della Commissione europea, che sottolinea i «progressi significativi» del nostro Paese.
Nella giustizia penale, i giudizi di legittimità sono celebrati nel rispetto del termine di durata; positivi i risultati conseguiti, con l’ausilio delle Forze dell’ordine, tra l’altro, nel contrasto alla criminalità organizzata, ai delitti diretti ad acquisire o impiegare abusivamente i benefici a supporto dell’economia privata e dei cittadini, ai reati ambientali, ai reati concernenti gli infortuni sul lavoro.
Nella giustizia civile è realtà una Corte che opera a tre livelli ed offre risposte adeguate alle sue finalità, grazie anche ai nuovi istituti del procedimento di definizione accelerato e del rinvio pregiudiziale, applicati in modo da garantire l’efficienza ed il giusto processo, la formazione della giurisprudenza attraverso un dialogo tra magistrati, avvocatura ed accademia.

La giustizia disciplinare è rigorosa; lo attestano le statistiche, purché valutate al giusto. Dunque, in comparazione con gli altri àmbiti dell’organizzazione dello Stato, tenendo conto dell’afflittività anche delle sanzioni più lievi e della sua finalità di istituto non preordinato a garantire l’esattezza delle decisioni, affidata agli ordinari rimedi processuali, e la professionalità dei magistrati, bensì a sanzionare, con effetti soltanto sul rapporto di impiego, la violazione dei doveri del magistrato, nell’osservanza del principio di tipicità. Permangono profili di criticità sui quali si sofferma l’intervento scritto, rimediabili con eventuali modifiche riservate alla discrezionalità del Legislatore.
Positiva è stata l’azione nelle relazioni sovranazionali, all’interno della Comunità di diritto in cui si sostanzia l’Unione europea, ed internazionali, mediante la collaborazione con le autorità giudiziarie dei Paesi che non ne fanno parte.
Restano note e dibattute ragioni di criticità; nel breve tempo della presente riflessione mi limito ad accennarne a due.

La prima, concernente la giustizia penale, è spesso addebitata anzitutto al pubblico ministero, per valutazioni divergenti e poco chiare nell’esercizio dell’azione penale, per la lentezza delle vicende giudiziali, per l’imprevedibilità delle decisioni dopo indagini e cautele personali, per il deficit di garanzie. Il convincimento è errato quando ascrive al pubblico ministero la dilatazione dei tempi dei processi allo stesso non imputabile, ovvero esiti difformi rispetto all’esercizio dell’azione che giunge a negare in radice la dialettica valutativa, l’essenza ed il significato del processo, oppure le distorsioni della c.d. giustizia mediatica.

Nondimeno, sussistono ragioni di criticità dovute al pubblico ministero ed essenzialmente alla transizione che stanno vivendo tale figura e le funzioni alla stessa assegnate. La trasformazione dell’obbligatorietà dell’azione penale da regola a principio; la definizione di più stringenti presupposti per l’iscrizione del procedimento penale ed in ordine ai tempi dell’indagine; il nuovo parametro della “ragionevole previsione della condanna”, che impone un uso predittivo dell’azione penale con riguardo all’esito processuale, non più ispirato alla sola idea della condanna dell’imputato ad una pena detentiva e, quindi, l’esigenza di pensare l’indagine secondo una prospettiva che bilanci l’investigazione con la completezza futura del giudicato, impongono un nuovo modo di esercitare la funzione requirente. Questo esige consapevolezza del nuovo ruolo ed una adeguata organizzazione.

Autonomia e indipendenza della magistratura requirente, massime quanto al profilo esterno, non devono trasformarsi in ingiustificato pri- vilegio quanto a quello interno; possono e devono essere opportunamente modulate. È indispensabile che il processo penale sia sollecitato dalla pubblica accusa con criteri convergenti, all’interno di uno stesso ufficio e tra uffici diversi. Devono essere scongiurate valutazioni divergenti lesive del principio di eguaglianza; vanno garantite la coerenza dell’esercizio dell’azione penale con il nuovo parametro valutativo e l’efficiente uso delle risorse; va evitata la personalizzazione delle funzioni.

Per concretizzare il nuovo volto del pubblico ministero ed assicurare il corretto esercizio della discrezionalità valutativa, l’eguaglianza e l’efficienza dell’azione penale, si impongono una maturazione culturale e la realizzazione del modello di organizzazione gerarchico-funzionale disegnato dal Legislatore, di cui deve rendersi garante il Consiglio Superiore. A tale idea è stata ispirata l’azione della Procura generale che, con l’istituto dell’art. 6 del d.lgs. n. 106 del 2006 e la fattiva collaborazione delle Procure generali, si è resa promotrice dell’uniformità delle prassi, ma ha anche prospettato gli aspetti problematici dell’applicazione delle nuove norme ed eventuali soluzioni mediante una leale cooperazione con il Ministro della giustizia, che ringrazio dell’attenzione, nella consapevolezza che dialogo significa confronto, ma le scelte sono riservate al decisore politico.

La valutazione dell’attività del pubblico ministero, ma anche della magistratura giudicante, non deve tuttavia essere alterata dal mediatico addebito di responsabilità che non li riguardano. Nell’ambito del diritto punitivo compito della magistratura è applicare la legge, accertare e giudicare i fatti-reato e gli illeciti disciplinari configurati come tali dal legislatore. La torsione verso un diritto punitivo etico ed un’ingenua concezione della sufficienza pedagogica della legge alimentano invece insoddisfazione per un’azione ritenuta talora blanda talora rigorosa sulla base di convincimenti personali, sganciati dal diritto positivo, che spesso sfociano in verdetti resi dalla «smisurata giuria pubblica» dei social media, che giudica in tempo reale, attraverso grotteschi simulacri di processi e plebisciti governati dalla sola logica dell’emotività, a rischio di manipolazione, accresciuto dall’intelligenza artificiale. L’importanza del controllo sociale sulla magistratura, coessenziale al fondamento dello Stato di diritto e della democrazia, è incontestabile. Tuttavia, va ribadito che «verità giudiziaria» è solo quella raggiunta nell’osservanza del giusto processo di legge celebrato da magistrati ed avvocati; pretendere di sostituirla con improbabili indagini, abnormi plebisciti, significa distruggere le basi dello Stato di diritto e delle nostre libertà.

Al diritto punitivo non possono essere affidati compiti diversi da quelli propri. I fenomeni devianti vanno prevenuti anzitutto con adeguate politiche sociali e culturali. Un esempio per tutti. Il contrasto alla violenza di genere ha registrato risultati positivi grazie agli interventi del Legislatore ed all’azione della magistratura, ma resta insoddisfacente. Sono necessari adeguati interventi su piani ulteriori e diversi da quello repressivo, nella consapevolezza che la parità di genere non riguarda solo garanzia e tutela dei diritti in una dimensione individuale, pure importanti, ma è questione più grande, strategica per la realizzazione dello Stato di diritto e la sua lesione, anche se non di rilievo penale, lo indebolisce e mette a rischio la democrazia.

Occorre una rinnovata attenzione ai doveri, imposta dalla Costituzione, che li contempla accanto ai diritti inviolabili nell’art. 2, stru- menti di solidarietà, di coesione sociale e convivenza civile, essenziali a fondare l’etica pubblica, argine ad una concezione esasperatamente individualistica che sta minando il primato della dignità umana e della dimensione politica.

La seconda ragione di criticità concerne la prevedibilità, riproposta soprattutto con riguardo all’antica questione del rapporto tra il giudice e la legge. Nella post-modernità è diventato complicato stabilire qual è il diritto dello Stato di diritto. Alla questione va data risposta muovendo dalla premessa che i principi di separazione dei poteri e di legalità quali aspetti della forma democratica, garantiti anche dal primato della legge (art. 101 Cost.), costituiscono i cardini essenziali dello Stato costituzionale di diritto e di una moderna democrazia pluralista.

L’interpretazione della disposizione implica il potere-dovere di scegliere tra diverse possibili risposte, ma la scelta presuppone un quadro di diritto positivo che il giudice deve leggere nel miglior modo, che preesiste alla sua decisione, non è creato da lui: quella del giudice è una funzione “dichiarativa”, con esclusione di un’efficacia direttamente creativa. Garante di tale regola è la Corte, con la collaborazione della Procura generale, mediante la funzione nomofilattica, presidio della prevedibilità e dell’equilibrio dei poteri.

Pressante è una nuova questione posta dalla tecnologia. Il processo telematico, nella sua versione basica, ha solo sostituito il supporto cartaceo con quello digitale, eppure sta riconfigurando i ruoli di magistrati e avvocati. In nome della prevedibilità e della velocità si invocano ulteriori sviluppi, la giustizia predittiva, affidata all’intelligenza artificiale. Questa non va aprioristicamente rifiutata, occorre sfruttarne le potenzialità, ma dobbiamo essere consapevoli che è qualcosa di radicalmente diverso da ogni precedente scoperta dell’uomo. È una tecnologia che plasma e diffonde forme non umane di logica; gli algoritmi di machine learning non sempre sono trasparenti, spiegabili o interpretabili, soprattutto se utilizzano tecniche di deep learning. Alto è il rischio della lesione dei diritti fondamentali e dell’alterazione dell’essenza del processo; alta deve essere attenzione e prudenza nell’applicarla.

Le ragioni di criticità alle quali ho accennato, in larga misura, sono frutto delle grandi trasformazioni della società, che impongono processi legislativi sempre più veloci e sommari. Non dobbiamo temere i cambiamenti, consapevoli che, come insegnava Giuseppe Capograssi, «[n]essun ordinamento è definitivo, perché nessuna situazione della vita esaurisce le invenzioni della vita». Le scelte in ordine al se e come attuare i cambiamenti competono esclusivamente all’istituzione massima espressione della rappresentanza politica, il Parlamento, in virtù del principio della divisione dei poteri, baluardo dello Stato costituzionale e di diritto. Al Parlamento spetta operare la sintesi del dibattito sulle nuove esigenze ed assicurare la razionalità politica e giuridica di cui la collettività ha bisogno, nell’attuazione e nell’osservanza della Costituzione e del nucleo irriducibile dei principi posti dalla Carta.

Le riforme, specie di sistema, richiedono tuttavia un tempo di adattamento e di recepimento culturale spesso poco compatibili con l’urgenza dell’aspettativa sociale dei problemi su cui vanno ad incidere, di cui va tenuto conto. Occorre quindi scongiurare le difficoltà insite in interventi normativi frammentari e troppo ravvicinati, soprattutto in àmbito processuale, in cui la stabilità è precondizione di corretta applicazione delle norme e di efficienza. Molti sono gli ostacoli da affrontare, anche quanto alla giustizia. Dobbiamo confidare di poterli superare, come già accaduto in passato, se manteniamo alta la fiducia nelle istituzioni, la coesione sociale, il quotidiano impegno di tutti, senza disperdere la pazienza e la speranza indispensabili per la crescita del nostro Paese.

 

 

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