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ISTAT * ITALIA – POVERTÀ: « NEL 2023 INCIDENZA ASSOLUTA PARI A 8,5% TRA LE FAMIGLIE, LIVELLI MAI TOCCATI NEGLI ULTIMI 10 ANNI»

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21.19 - mercoledì 15 maggio 2024

CAPITOLO 1 – L’ECONOMIA ITALIANA: CRESCITA, CRITICITÀ

Nel triennio l’economia italiana è cresciuta più della media dell’Ue27 e di Francia e Germania tra le maggiori economie dell’Unione. Alla crescita si è associato il buon andamento del mercato del lavoro. Dalla seconda metà del 2021, come le altre maggiori economie europee, l’Italia si è confrontata con l’ascesa dei prezzi originata dalle materie prime importate, seguita a fine 2022 da un rapido processo di raffreddamento, rafforzatosi nel 2023.

L’episodio inflazionistico ha avuto effetti differenziati sulle imprese e, in particolare, sulle famiglie – con le retribuzioni che non hanno tenuto il passo dell’inflazione – riducendo il potere di acquisto soprattutto delle fasce di popolazione meno abbienti. La performance degli ultimi anni ha fatto seguito a due decenni in cui la struttura dell’economia italiana si è adattata, con fatica, ai cambiamenti del contesto competitivo e all’impatto della transizione digitale.

Il sistema produttivo, la Pubblica Amministrazione e gli individui hanno mostrato progressi significativi nell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione, accelerati dalla pandemia. Permangono però alcune criticità e ritardi, anche nello sviluppo delle competenze digitali. Negli ultimi 20 anni, l’Italia ha difeso il proprio posizionamento come paese esportatore, ma la concorrenza delle economie emergenti ha messo in crisi una parte rilevante delle industrie su cui si basava la specializzazione nazionale, che si è gradualmente modificata. D’altra parte, la lentezza nello sviluppo delle attività terziarie intense in conoscenza, oltre che in una debole dinamica delle esportazioni di servizi, si è riflessa in un’accresciuta dipendenza dall’estero.

In questo periodo, la crescita dell’attività economica e della produttività del lavoro sono state particolarmente deboli, rispetto sia all’esperienza storica sia alle altre maggiori economie europee. Il recupero recente dell’attività di investimento, in particolare nella componente immateriale, se sostenuto, potrebbe contribuire nei prossimi anni al miglioramento delle prospettive di crescita del nostro Paese.

 

Lo scenario internazionale
• Nel 2023, la crescita del Pil mondiale è stata pari al 3,2 per cento, rispetto al 3,5 per cento del 2022, mentre la dinamica in volume dell’interscambio globale di beni e servizi è rallentata dal +5,6 ad appena lo 0,3 per cento (stime Fmi).

• Sulle previsioni di crescita pesano diversi elementi di rischio e incertezza, dai conflitti geopolitici, a una nuova impennata dei corsi delle materie prime e una discesa più lenta del previsto dell’inflazione, all’andamento dell’economia cinese, a un possibile ulteriore indebolimento dell’interscambio commerciale.

 

Gli andamenti macroeconomici in Italia e nelle altre maggiori economie europee

• Tra il 2019 e il 2023 l’Italia è l’economia cresciuta a un ritmo più elevato tra le quattro maggiori dell’Unione europea, recuperando il livello del Pil di fine 2019 già nel terzo trimestre del 2021. A confronto con l’ultimo trimestre del 2019, a fine del 2023, il livello del Pil era superiore del 4,2 per cento in Italia, del 2,9 in Spagna, dell’1,9 in Francia e solo dello 0,1 per cento in Germania.

• Nel 2023, in Italia il Pil è aumentato dello 0,9 per cento. La crescita è stata dello 0,7 per cento in Francia e del 2,5 per cento in Spagna, mentre la Germania ha registrato un calo (-0,3 per cento). Secondo le stime preliminari, nel primo trimestre del 2024, la crescita congiunturale dell’economia è stata dello 0,7 per cento in Spagna, lo 0,3 per cento in Italia e lo 0,2 per cento sia in Francia sia in Germania. Al netto degli effetti di calendario, la crescita acquisita per il 2024 sarebbe
dell’1,6 per cento in Spagna, dello 0,5 in Francia e Italia, e dello -0,2 per cento in Germania.

• Alla crescita del Pil nel 2023 hanno contribuito per 0,7 punti percentuali i consumi delle famiglie e delle istituzioni sociali private, 0,2 quelli collettivi, 1,0 punti gli investimenti fissi lordi, La domanda estera netta ha pure dato un apporto per 0,3 punti, mentre il decumulo delle scorte di prodotti finiti ha sottratto 1,3 punti percentuali.

• Nell’ultimo triennio, gli investimenti hanno dato un contributo sostanziale all’attività, con un impulso importante del comparto delle Costruzioni, grazie agli incentivi a sostegno dell’edilizia. Nell’ultimo anno, al contributo delle Costruzioni si è associato quello dei Macchinari e altre attrezzature (in particolare dei Mezzi di trasporto) e dei Prodotti di proprietà intellettuale.

• La crescita vivace dei flussi commerciali del 2021 e 2022 si è arrestata nel 2023. In questo periodo, l’andamento in valore degli scambi ha risentito delle fluttuazioni dei prezzi di energia e altre commodities e dell’andamento della domanda mondiale.

• Nel 2023 il valore delle esportazioni di beni è rimasto invariato, mentre quello delle importazioni si è ridotto del 10,4 per cento. In volume, le esportazioni sono calate, riportando una flessione del 5,1 per cento, alla quale ha contribuito la debolezza della Germania. Il saldo commerciale, negativo per oltre 30 miliardi di euro nel 2022, è tornato positivo per 34,5 miliardi.

• Nel 2023, gli occupati sono aumentati in media del 2,1 per cento (+481 mila unità), seguendo una crescita del 2,4 per cento nel 2022. L’aumento dell’occupazione è dovuto alla componente a tempo indeterminato e, in misura minore, agli indipendenti, mentre è diminuita l’occupazione a tempo determinato.

 

L’inflazione e i suoi effetti su imprese e famiglie

• Seguendo le quotazioni dell’energia, a partire dalla seconda metà del 2021 si è verificato un aumento fino a oltre il 30 per cento e poi una caduta dei prezzi all’importazione, a febbraio 2024 tornati sui livelli di fine 2021. Ciò si è riflesso sui prezzi alla produzione e in un’accelerazione dell’inflazione al consumo, seguita da un altrettanto rapido processo di disinflazione.

• La variazione tendenziale dell’indice armonizzato ha raggiunto il 12,6 per cento a ottobre 2022, il livello più elevato tra le maggiori economie dell’Ue, scendendo allo 0,5 per cento a dicembre 2023. Su base annua, nel 2023 l’indice è cresciuto in media del 5,9 per cento (5,4 la media Uem; 5,7 per centro la variazione dell’indice NIC per l’intera collettività).

• Le pressioni inflattive negli stadi a monte delle filiere produttive hanno trainato la crescita dei costi variabili per unità di prodotto, il cui indice è salito di circa il 16 per cento tra il quarto trimestre del 2020 e il quarto del 2022. Le imprese hanno adeguato parzialmente i prezzi di vendita, con una compressione dei margini di profitto nel 2022. Nel 2023, per l’esaurirsi delle spinte inflattive, il deflatore dell’output è sceso con minore intensità rispetto ai costi variabili, con un pieno recupero dei margini.

• Nel triennio 2021-2023 le retribuzioni contrattuali orarie non hanno tenuto il passo dell’inflazione: tra gennaio 2021 e dicembre 2023, sono aumentate del 4,7 per cento, e l’indice armonizzato dei prezzi al consumo del 17,3 per cento. La dinamica delle retribuzioni è tornata a superare quella dei prezzi da ottobre 2023, grazie alla decelerazione dell’inflazione; questa tendenza si conferma nel primo trimestre del 2024.

• Tra il 2019 e il 2023, il reddito disponibile delle famiglie a prezzi correnti è cresciuto del 13,5 per cento. A prezzi costanti è, invece, diminuito dell’1,0 per cento rispetto al 2019. Il mantenimento del volume dei consumi nonostante la riduzione del potere d’acquisto ha comportato una riduzione della propensione al risparmio fino al 6,3 per cento del 2023, contro l’8,1 del 2019.

• L’aumento dei prezzi, fortemente differenziato tra i prodotti, e particolarmente elevato per i beni primari quali alimentari ed energia, ha avuto un impatto maggiore sulle famiglie appartenenti alla classe di spesa più bassa (primo quinto) e minore su quella più alta (quinto superiore): il divario tra questi due gruppi, fatto 100 il livello dei prezzi di inizio 2021, ha raggiunto 9,7 punti a novembre 2022, scendendo fino a 4,4 punti a marzo 2024.

• Gli shock dell’ultimo quadriennio si sono riflessi anche in cambiamenti nella composizione della spesa per consumi: secondo le stime preliminari dell’Indagine sulle spese delle famiglie, tra 2019 e 2023 è aumentato il peso delle spese per Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili (inclusi interventi di ristrutturazione) e per i Prodotti alimentari e bevande analcoliche tra le voci più rilevanti, e di quelle per Alberghi e ristoranti, mentre si è ridotto sensibilmente quello delle spese per Abbigliamento e calzature e per Ricreazione, sport e cultura.

 

La finanza pubblica

• In Italia, è proseguito nel 2023 il lieve miglioramento del quadro di finanza pubblica. Il debito delle Amministrazioni Pubbliche è diminuito dal 140,5 al 137,3 per cento del Pil, e l’indebitamento netto si è ridotto di 13,8 miliardi, dall’8,6 al 7,4 per cento del Pil, come risultato di una spesa per interessi più contenuta e di un minor disavanzo primario, principalmente grazie alla dinamica sostenuta delle entrate e al ridimensionamento delle misure adottate nel 2022 per arginare la crisi energetica.

 

La congiuntura demografica

• Negli ultimi due anni è rallentata la perdita di popolazione in atto dal 2014. Al 31 dicembre 2023, la popolazione residente ammonta a 58.989.749 unità, in calo di 7 mila persone rispetto alla stessa data dell’anno precedente.

• Il 2023 ha fatto registrare l’ennesimo minimo storico in termini di nascite. Nonostante una riduzione dell’8 per cento dei decessi rispetto al 2022, il saldo naturale della popolazione resta fortemente negativo. Negli ultimi anni si è, inoltre, ridotto l’effetto positivo che la popolazione straniera ha esercitato sulle nascite a partire dai primi anni Duemila.

 

Criticità e cambiamenti: la transizione digitale

• Nonostante la recente accelerazione della trasformazione digitale delle imprese, il sistema produttivo italiano è ancora in ritardo rispetto alle altre maggiori economie dell’Ue nell’adozione delle tecnologie più complesse e nello sviluppo delle competenze ICT tra i lavoratori.

• Poco più della metà degli addetti delle imprese italiane è dotato di dispositivi connessi nello svolgimento del proprio lavoro (10 punti al di sotto della Germania), mentre l’Italia è ultima fra i principali paesi Ue nell’adozione di software gestionali nell’organizzazione del lavoro e nella gestione delle informazioni.

• Solo il 5 per cento delle imprese italiane fa uso di tecnologie di Intelligenza Artificiale, contro l’8 per cento della media Ue e l’11 per cento della Germania. Più di 8 imprese italiane su 10 ne percepiscono le potenzialità, ma molte segnalano come ostacoli la mancanza di competenze e gli alti costi.

• La carenza di professionisti ICT è un problema comune a tutta l’Ue. In Italia questi rappresentano il 3,9 per cento degli occupati, con un livello e una crescita inferiori rispetto alle altre maggiori economie europee.

• Il processo di transizione digitale è in atto anche nella Pubblica Amministrazione. Il recente miglioramento dell’infrastruttura informatica ha consentito un ampliamento della disponibilità e della gamma dei servizi forniti online. Ciò si è tradotto in una progressiva crescita dei fruitori tra le imprese e i cittadini in quest’ultimo caso anche grazie all’accresciuto utilizzo delle identità digitali: sono attualmente 38 milioni gli italiani che utilizzano l’identità digitale per accedere ai servizi pubblici, con un’incidenza sul totale della popolazione al di sopra della media europea.

 

Criticità e cambiamenti: l’internazionalizzazione del sistema produttivo

• Con l’ampliamento del ruolo dalle economie emergenti, il posizionamento dell’Italia nelle catene globali del valore si è relativamente modificato. Pur aumentando la dipendenza del sistema produttivo italiano dall’estero, l’Italia ha mantenuto una posizione da esportatore netto: al 2019,
il 45 per cento della produzione italiana è utilizzata come input diretto o indiretto nei processi produttivi esteri; la quota di input esteri che attivano la produzione interna, invece, è inferiore al 21 per cento.

• La relativa erosione della rilevanza – oltre al peso crescente dei BRICS – è associata a un indebolimento del posizionamento della manifattura. L’aumento della dipendenza si è legata all’incremento del peso delle importazioni di servizi a maggior contenuto di conoscenza e alla maggiore integrazione di alcune filiere manifatturiere, dovuta in larga parte alle delocalizzazioni e alle strategie globali delle imprese multinazionali.

• Tra il 2000 e il 2023, la performance commerciale dell’Italia è stata migliore rispetto alla Francia, ma inferiore al confronto di Spagna e Germania; le esportazioni del Made in Italy tradizionale nelle filiere del tessile-abbigliamento e dell’abitare hanno perso terreno nei confronti della concorrenza, riducendo il loro peso sul totale delle esportazioni di 10 punti percentuali.

• L’Italia ha perso meno terreno nell’esportazione di macchinari e ha rafforzato la propria specializzazione nei prodotti alimentari, che hanno incrementato il loro peso sul totale delle esportazioni di poco meno di 5 punti percentuali. Il nostro Paese ha inoltre beneficiato dello sviluppo dell’export nella farmaceutica, benché in larga parte dovuto agli scambi intra-gruppo di multinazionali estere.

• Le esportazioni di servizi, raddoppiate in valore fra il 2000 il 2023, sono cresciute a un ritmo inferiore rispetto a quanto riscontrato nei principali paesi Ue. Anche in questo caso, l’Italia ha sofferto sia per la debolezza della propria specializzazione iniziale – sbilanciata sul turismo, cresciuto meno dei comparti più intensi in conoscenza – sia per la stagnazione della produttività del lavoro che ha caratterizzato il terziario.

• Le esportazioni contribuiscono in maniera rilevante all’attività del sistema produttivo italiano. Un esercizio di simulazione mostra come a un incremento del 10 per cento delle esportazioni manifatturiere ne corrisponda uno di 1,6 punti percentuali di valore aggiunto, con una concentrazione degli effetti nel segmento delle medie e grandi imprese e nelle imprese internazionalizzate.

 

Criticità e cambiamenti: crescita economica e produttività

• In Italia, solo a fine 2023 il Pil reale è tornato ai livelli del 2007: in 15 anni, si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Se si confronta il 2023 con il 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna.

• La stagnazione della produttività del lavoro è uno degli elementi che ha caratterizzato il debole andamento del Pil in volume negli ultimi vent’anni e il conseguente allargamento del divario di crescita con le altre principali economie dell’Ue. In volume, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto di solo l’1,3 per cento tra 2007 e 2023, contro il 3,6 per cento in Francia, il 10,5 in Germania e
il 15,2 per cento in Spagna.

• Nel sistema delle imprese, in Italia, il livello della produttività (valore aggiunto per addetto) a prezzi correnti nella manifattura è inferiore a quello osservato in Francia e Germania solo nel segmento delle micro e piccole imprese, che però hanno un peso maggiore nel nostro Paese. Nei servizi, invece, le imprese italiane mostrano una produttività inferiore in tutte le classi dimensionali.

• Uno degli elementi che concorre a spiegare la bassa crescita delle produttività può essere rintracciato nella dinamica degli investimenti. Questa è rimasta a lungo depressa, recuperando però decisamente nell’ultimo triennio, anche nei confronti delle altre maggiori economie europee.

• La debolezza degli investimenti tocca in particolare quelli in beni immateriali e nelle attrezzature ICT, le componenti che più incidono sull’ammodernamento dello stock di capitale. In questo caso l’Italia mostra un livello sul Pil ancora inferiore rispetto alle altre grandi economie Ue, nonostante la crescita registrata nel periodo più recente.

 

 

CAPITOLO 2 – I CAMBIAMENTI DI LAVORO: TENDENZE RECENTI E TRASFORMAZIONI STRUTTURALI

Negli ultimi decenni le caratteristiche dell’occupazione in Italia sono cambiate, accompagnando l’evoluzione dell’economia e della società. Sottostanti la crescita del numero di occupati e del tasso di occupazione, avvenuta tra ampie fluttuazioni cicliche, vi sono però trasformazioni strutturali e dinamiche differenziate tra soggetti.

Il peso dell’occupazione a tempo parziale è cresciuto quasi ininterrottamente; è aumentata l’occupazione femminile e quella delle fasce più anziane, in relazione all’allungamento della vita e al posticipo dell’età pensionabile, mentre si è ridotta quella delle fasce più giovani. La forza lavoro è oggi più istruita; si è verificata, infine, una ricomposizione dell’occupazione verso le attività terziarie.

La direzione di questi cambiamenti è stata quasi sempre simile nelle grandi economie europee, anche se spesso con ritmi diversi: in alcuni casi la distanza dell’Italia con gli altri paesi si è accorciata o annullata; in altri, resta ancora ampia.

Le retribuzioni reali, in associazione col debole andamento della produttività, sono aumentate molto lentamente, e nel recente episodio inflazionistico hanno perso terreno. La quota di lavoratori con basse retribuzioni annuali permane ampia, prevalentemente in associazione con la ridotta intensità lavorativa e con la durata dei contratti: fenomeni, questi, che riguardano maggiormente le donne, i giovani e gli stranieri.

I cambiamenti osservati nel lavoro sono, infine, strettamente connessi a quelli del tessuto economico, che è andato incontro a una ricomposizione settoriale e a un consolidamento del sistema all’interno di ciascuna attività, a vantaggio di quelle imprese che meglio hanno saputo cogliere i cambiamenti delle condizioni competitive, con maggior capacità di innovazione e, insieme, di attrarre forza lavoro istruita, contribuendo così alla crescita dell’occupazione e della sua qualità.

D’altra parte, la soddisfazione per il lavoro dichiarata dagli occupati varia in funzione delle caratteristiche delle imprese in cui si lavora, mostrando l’importanza, anche da questa prospettiva, del miglioramento delle caratteristiche strutturali del sistema produttivo.

 

La crescita dell’occupazione nelle maggiori economie europee

• Nel biennio 2022-2023, secondo le stime di contabilità nazionale, a fronte di un rallentamento dell’attività misurata in termini di crescita del Pil (+4,0 per cento nel 2022 e +0,9 per cento nel 2023), il numero di occupati in Italia è cresciuto a ritmi sostenuti (+1,8 per cento in entrambi gli anni).

• Nel 2023 rispetto al 2019, la crescita dell’attività economica (+3,5 per cento) è stata il risultato del contributo di 2,3 punti percentuali dell’occupazione e di 1,4 punti dell’aumento delle ore lavorate per occupato, mentre la produttività oraria misurata sul Pil ha sottratto 0,3 punti.

• Nelle altre maggiori economie europee la crescita del Pil nello stesso periodo è stata minore rispetto all’Italia ma il contributo dell’occupazione, pure significativo, è stato accompagnato da una riduzione delle ore per occupato e, a eccezione della Francia, da un aumento della produttività del lavoro.

• Tra il 2019 e il 2023 in tutt’e quattro le maggiori economie europee il comparto dei servizi collettivi ha dato un contributo sostanziale alla crescita dell’occupazione, riflettendo anche la comune tendenza al rafforzamento dell’assistenza sanitaria e sociale indotto dalla pandemia da COVID-19.

• Nello stesso periodo, il nostro Paese si distingue per la crescita dell’occupazione nelle Costruzioni, sostenuta dall’introduzione delle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie. In questo settore, l’occupazione è aumentata del 16,2 per cento, contribuendo per un punto percentuale alla crescita complessiva.

• Il tasso di occupazione tra 15 e 64 anni, secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro, nel 2023 è stato del 61,5 per cento, guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019. Nel confronto con le altre maggiori economie europee resta però inferiore di 15,9 punti rispetto alla Germania ed è più basso anche rispetto a quello osservato per Francia e Spagna (-6,9 e -3,9 punti rispettivamente).

• Il tasso di disoccupazione è stato nel 2023 del 6,0 per cento per l’insieme dei paesi dell’Unione europea e del 7,7 per cento in Italia. Secondo i dati preliminari, a marzo 2024 nel nostro Paese è sceso fino al 7,2 per cento.

• La crescita dell’occupazione del 2023 ha riguardato soprattutto gli occupati a tempo pieno e indeterminato. L’incidenza del lavoro a termine sul totale dei dipendenti è diminuita di 0,9 punti percentuali rispetto al 2019, al 16,1 per cento.

• La quota dei occupati part-time (17,6 per cento del totale) è in linea con la media Ue27, superiore a quella di Francia e Spagna (rispettivamente 16,6 per cento e 13,2 per cento) e molto inferiore a quella della Germania (28,8 per cento). Per le donne l’incidenza del part-time è quattro volte superiore a quella degli uomini (rispettivamente 31,4 e 7,4 per cento).

• Nel 2023 oltre la metà dei lavoratori a tempo parziale nella classe 15-64 anni (il 54,8 per cento) vorrebbe lavorare di più; l’incidenza raggiunge quasi il 70 per cento tra gli uomini e a quasi 9 su 10 per quelli residenti nel Mezzogiorno. Tra le maggiori economie europee, la quota di part time involontario nel 2022 (ultimo anno per cui è disponibile il confronto) era del 57,9 per cento in Italia, il 50,8 per cento in Spagna, il 25,9 per cento in Francia e il 6,1 per cento in Germania.

 

L’andamento delle retribuzioni e il lavoro a basso reddito

• Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5 per cento mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1 per cento della Francia e il 5,7 per cento della Germania.

• I dipendenti delle imprese private extra-agricole che nel 2022 si collocano nella fascia a bassa retribuzione annuale, ossia sotto una soglia pari al 60 per cento del valore mediano, sono 4,4 milioni (poco meno del 30 per cento del totale), con un’incidenza molto maggiore per i dipendenti con contratti non standard, soprattutto a termine e a tempo parziale. Giovani, donne e stranieri sono gli individui che più si associano a criticità retributive.

• Nell’arco temporale fra il 2015 e il 2022, tra i 7,7 milioni di dipendenti delle imprese private
extra-agricole con segnali di occupazione in tutti gli anni del periodo osservato, 2,3 milioni hanno sperimentato periodi di bassa retribuzione annuale. Poco meno del 40 per cento di questi è riuscito a emanciparsi da questa condizione stabilmente a partire dal 2019.

• Secondo i dati dell’Indagine sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc) nel 2022 la quota di occupati a rischio di povertà in Italia è all’11,5 per cento, nell’Ue27 è l’8,5 per cento del totale.

 

Istruzione e formazione nel mercato del lavoro

• In Italia l’istruzione mostra progressi continui, nonostante forti differenze sociali e territoriali nei livelli di apprendimento. Tra i 25-34enni la percentuale di giovani con un titolo terziario (29,2 per cento nel 2022) negli ultimi due decenni è aumentata di 17 punti percentuali; nella media Ue27 la quota arriva al 42,0 per cento, 19 punti in più rispetto al 2002. Questo divario è spiegato in gran parte dall’assenza, in Italia, dei corsi universitari biennali (perlopiù a carattere tecnico), diffusa in altri paesi.

• Tra il 2013 e il 2021, in Italia, l’andamento delle quote di diplomati con laurea triennale o equivalente rispetto alla popolazione tra i 20 e i 29 anni ha mantenuto gli stessi livelli e profili di crescita osservati in Francia, Germania, e Spagna. L’Italia si trova in posizione intermedia in questo gruppo per i diplomati di laurea magistrale o a ciclo unico, pure in crescita, mentre è in ultima posizione e in arretramento per dottorati o specializzati.

• Nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni di persone (il 34 per cento del totale) risultano occupate con un inquadramento professionale che non richiede necessariamente il titolo d’istruzione conseguito e, in tal senso, sono considerate sovra-istruite. L’incidenza raggiunge il 45,7 per cento tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche e scende al 27,6 per cento tra i laureati in discipline STEM. Tra il 2019 e il 2023 la quota dei sovra-istruiti è cresciuta di 1,1 punti percentuali.

• Nel nostro Paese ai più bassi livelli di istruzione si associa anche una minore partecipazione alle attività di formazione svolte al di fuori dei percorsi tradizionali di istruzione e di apprendimento formale (tra i 27 paesi dell’Unione europea, l’Italia è in ventunesima posizione). La diffusione della formazione è significativamente inferiore tra i meno istruiti, i disoccupati e gli occupati a bassa qualifica.

 

L’evoluzione dell’occupazione negli ultimi venti anni

• Nel periodo 2004-2023, la composizione per età dell’occupazione in Italia è strutturalmente cambiata, riflettendo aspetti demografici insieme alla diffusione dell’istruzione terziaria e al prolungamento della vita lavorativa: il saldo osservato (+5,7 per cento) è la sintesi di un calo di oltre due milioni di occupati tra i giovani di 15-34 anni e di un milione tra i 35 e i 49 anni, più che compensato dall’aumento
di 4 milioni e mezzo di occupati di oltre 50 anni.

• Per conseguenza, la forza lavoro occupata risulta invecchiata più velocemente della popolazione: tra gli occupati, la quota di giovani tra 15 e 34 anni è diminuita maggiormente rispetto a quanto avvenuto nella popolazione nel suo complesso, mentre tra gli ultracinquantenni è avvenuto l’opposto.

• Uno dei tratti distintivi degli ultimi due decenni è la crescita dei dipendenti a tempo determinato: nel 2023 erano quasi 3 milioni, circa un milione in più rispetto al 2004. L’aumento ha riguardato soprattutto i giovani tra 15 e 34 anni. Viceversa, la crescita del lavoro a tempo indeterminato, pari a 1 milione 373 mila unità (+9,7 per cento), ha riguardato solo gli occupati ultracinquantenni.

• Negli ultimi venti anni è anche cresciuta la quota degli impieghi a tempo parziale, da meno del 13 per cento nel 2004 al 18 per cento nel 2023. Inoltre, la quota di part-time involontario è aumentata da poco più di un terzo a oltre metà degli occupati a tempo parziale. L’aumento della diffusione dei lavori a tempo parziale accomuna le principali economie europee, con l’eccezione della Francia.

• La trasformazione strutturale più evidente riguarda la diminuzione degli occupati indipendenti: nel 2023 i lavoratori autonomi sono poco più di 5 milioni e rispetto al 2004 sono diminuiti di
circa 1,2 milioni di unità (l’incidenza sull’occupazione è passata dal 27,8 al 21,4 per cento).

• Tra il 2004 e il 2023 la crescita dell’occupazione si è accompagnata alla sua ricomposizione tra le attività economiche. Secondo le stime della contabilità nazionale, il comparto dei servizi ha guadagnato 2,4 milioni di occupati, mentre l’Industria in senso stretto ne ha persi oltre 500 mila e l’Agricoltura 140 mila. Gli occupati nelle Costruzioni, per effetto degli incentivi degli ultimi anni, sono invece tornati sui livelli del 2004.

 

L’evoluzione dell’occupazione attraverso la domanda di lavoro

• Tra il 2012 e il 2021, con ampie fluttuazioni cicliche, secondo i registri statistici dell’Istat gli addetti nelle imprese sono aumentati di circa 860 mila unità, mentre resta pressoché invariato il personale delle amministrazioni pubbliche rilevato nel Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato.

• Il saldo occupazionale è stato positivo per quasi 1,2 milioni di unità per le persone con istruzione di livello universitario e negativo per circa 330 mila unità per quelle con istruzione di livello inferiore, in conseguenza di aspetti di natura demografica (turnover tra generazioni meno e più istruite) e del progresso verso una struttura più qualificata dell’occupazione.

• L’evoluzione quantitativa e qualitativa dell’occupazione è stata determinata, oltre che dagli andamenti generali di economia, demografia e istruzione, dai diversi profili delle unità economiche. Composizione settoriale, crescita dimensionale e dinamismo delle imprese hanno giocato un ruolo nel produrre domanda di lavoro più o meno qualificata.

• L’investimento in capitale umano è centrale nelle imprese: esistono forti complementarietà in termini di investimenti in risorse umane, strategie, capacità innovativa, tecnologie. Maggiori i livelli di complessità, maggiore la domanda di lavoro, in particolare per personale con istruzione più elevata. Le imprese meno dinamiche hanno perso occupazione in tutte le classi dimensionali, mentre le più dinamiche sono cresciute sistematicamente, spesso assumendo una elevata quota di laureati.

• Analogamente, all’interno di ciascuna attività elementare, le imprese con forza lavoro più istruita (comprese le nuove entranti, e quelle che hanno migliorato lo stock di capitale umano) tra il 2012 e il 2021 hanno ottenuto risultati economici migliori in termini di valore aggiunto e occupazione, contribuendo in tal modo all’evoluzione del sistema produttivo.
La soddisfazione dei lavoratori: determinanti individuali e d’impresa

• Il 59,3 per cento degli oltre 22,5 milioni di lavoratori che nel 2021 erano impiegati nel sistema economico si dichiarava nel complesso soddisfatto del proprio lavoro, soprattutto in relazione alla stabilità del contratto (58,2 per cento). Più limitata è la quota di soddisfatti dal trattamento economico (38,1 per cento) e dalle opportunità di carriera (31,4 per cento).

• In generale, la soddisfazione è maggiore per i lavoratori residenti al Nord (61,7 per cento contro 53,3 per cento nel Mezzogiorno). Per tipologia di impiego, le differenze sono minime tra dipendenti e lavoratori autonomi, ma la soddisfazione complessiva scende al 48,9 per centro tra i collaboratori. Tra donne e uomini non vi sono differenze nella soddisfazione complessiva, ma gli uomini sono relativamente più soddisfatti delle prospettive di carriera (33,3 contro 28,9 per cento).

 

 

CAPITOLO 3 – CONDIZIONI E QUALITÀ DELLA VITA

Negli ultimi 10 anni si è allargato il divario tra le condizioni economiche delle generazioni. Più una persona è giovane, più è probabile che abbia difficoltà. La situazione si è invertita alla fine degli anni 2000: la grande recessione ha penalizzato di più le giovani generazioni.
Per l’effetto del forte rialzo dell’inflazione degli ultimi tre anni, le spese per consumo delle famiglie sono diminuite in termini reali ed è aumentata la distanza tra le famiglie più e meno abbienti. Questo aumento della sofferenza economica si è riflessa nel contemporaneo peggioramento degli indicatori di povertà assoluta, che ha colpito nel 2023 il 9,8 per cento della popolazione, un dato più alto di circa tre punti percentuali rispetto al 2014. L’incremento di povertà assoluta ha riguardato principalmente le fasce di popolazione in età lavorativa e i loro figli. Il reddito da lavoro, in particolare quello da lavoro dipendente, ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. Gli indicatori di povertà negli ultimi 10 anni mostrano una convergenza territoriale tra le ripartizioni, ma verso una situazione di peggioramento.

L’età adulta, oggi non può più essere considerata sinonimo di stabilità e certezze acquisite. D’altro canto, però, la diffusione crescente di stili di vita sani ha aumentato gli anni di vita in salute, influenzando positivamente la qualità della vita, anche nelle età più avanzate e dimostrando che è possibile rimanere attivi per gran parte della vita. La diffusione dell’uso di Internet e delle nuove tecnologie sta cambiando le nostre abitudini quotidiane. Sebbene la rivoluzione digitale coinvolga sempre più persone, persistono disuguaglianze nell’accesso e nelle competenze digitali. Le generazioni più giovani hanno visto migliorare molteplici dimensioni della loro vita quotidiana; di fronte alle grandi sfide del nostro tempo esprimono elevati livelli di soddisfazione per la loro vita e alti livelli di partecipazione sociale.

 

La condizione economica delle famiglie – Le spese per consumo

• Nel 2023, la spesa media mensile per consumo delle famiglie residenti in Italia è pari a 2.728 euro in valori correnti, in aumento del 3,9 per cento rispetto all’anno precedente, trainata dall’ulteriore aumento dei prezzi; in termini reali, la spesa media si riduce dell’1,8 per cento.

• Nel 2023, la spesa media più elevata, pari a 2.967 euro mensili, è nel Nord-ovest, quasi identica rispetto al Nord-est e al Centro (rispettivamente, 2.962 e 2.953 euro mensili), ma del 28,2 e del 35,2 per cento superiore rispetto alle Isole (2.314 euro) e al Sud (2.195 euro).

• Dal 2014 al 2023, la spesa media mensile delle famiglie è cresciuta dell’8,3 per cento. L’aumento è stato molto più accentuato nelle Isole (+23,0 per cento), seguite dal Centro (+11,4) e dal Sud (+10,2). Nel Nord, invece, l’incremento è stato del 4,5 per cento (+4,8 nel Nord-ovest, +4,1 nel Nord-est), poco più della metà del dato nazionale.

• Nell’arco dei 10 anni, la distanza tra le diverse aree del Paese si è complessivamente ridotta: nel 2014, il divario maggiore, tra Isole e Nord-est, era di 963 euro, il 33,9 per cento in meno; nel 2023, il più ampio, tra Nord-ovest e Sud, è di 773 euro, il 26,0 per cento in meno.

• Tra il 2014 e il 2023, la spesa equivalente, che permette di confrontare famiglie di diversa ampiezza, è cresciuta in termini correnti del 14,0 per cento, con un andamento leggermente migliore per le famiglie più abbienti (+15,5 per cento) rispetto a quelle meno abbienti (+14,2 per cento).

• Depurando l’andamento delle spese da quello dei prezzi, la spesa media equivalente è caduta del 5,8 per cento; il calo è stato più forte per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione (-8,8 e -8,1 per cento rispettivamente). Anche le famiglie del ceto medio e medio-alto hanno diminuito le loro spese reali in maniera più significativa rispetto alla media nazionale (-6,3 per cento il terzo e -7,3 il quarto). Solamente le famiglie più abbienti, appartenenti all’ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite (-3,2 per cento).

 

La povertà

• Nel 2023 l’incidenza di povertà assoluta in Italia è pari all’8,5 per cento tra le famiglie e al 9,8 per cento tra gli individui. Si raggiungono così livelli mai toccati negli ultimi 10 anni, per un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e di 5 milioni 752 mila individui in povertà.

• L’incidenza di povertà assoluta familiare è più bassa nel Centro (6,8 per cento) e nel Nord (8,0 per cento sia il Nord-ovest sia il Nord-est), e più alta nel Sud (10,2 per cento) e nelle Isole (10,3 per cento). Lo stesso accade per l’incidenza individuale: 8,0 per cento nel Centro, 8,7 nel Nord-est, 9,2 nel Nord-ovest e 12,1 per cento sia nel Sud sia nelle Isole.

• Nell’arco del decennio considerato, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita dal 6,2 all’8,5 per cento, e quella individuale dal 6,9 al 9,8 per cento. Rispetto al 2014 sono aumentate di 683 mila unità le famiglie in povertà (erano 1 milione e 552 mila) e di circa 1,6 milioni gli individui in povertà (erano 4 milioni e 149 mila).

• Tra il 2014 e il 2023, l’incidenza familiare aumenta molto nel Nord (nel Nord-ovest, dal 4,6 all’8,0 per cento; nel Nord-est, dal 3,6 all’8,0 per cento), sale in maniera più moderata nel Centro (dal 5,5 al 6,8 per cento) e nel Sud (dal 9,1 al 10,2 per cento) e rimane pressoché stabile nelle Isole (dal 10,6 al 10,3 per cento).

L’incidenza individuale sale nel Nord-ovest dal 5,9 al 9,2 per cento; nel Nord-est da 4,5 a 8,7; nel Centro da 5,7 a 8,0; nel Sud da 8,9 a 12,1 e nelle Isole da 11,8 a 12,1. Tra il 2014 e il 2023 si registra quindi una convergenza territoriale tra le ripartizioni, ma verso una situazione di peggioramento. Si dimezza, infatti, lo scarto massimo tra le incidenze massime e minime.

• Nel 2023, 1,3 milioni di minorenni sono in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza del 14,0 per cento. Valori più elevati della media nazionale si registrano anche per i 18-34enni e i 35-44enni (11,9 e 11,8 per cento, rispettivamente). Migliore la situazione per le fasce più anziane: 5,4 per cento per i 65-74enni, 7,0 per cento per gli individui con 75 anni e più.

• Nell’intero periodo 2014-2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale è aumentata di 2,9 punti percentuali, e tutte le fasce da 0 a 64 anni hanno peggiorato la propria posizione più della media (con un massimo di +4,5 punti percentuali per i minorenni). Le fasce di età più anziane hanno, invece, limitato il peggioramento a poco più di un punto percentuale. L’incremento di povertà assoluta ha, quindi, riguardato principalmente le fasce di popolazione in età lavorativa e i loro figli.

• Il reddito da lavoro ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. Nei 10 anni, l’incidenza di povertà individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9 per cento nel 2014, al 5,3 per cento nel 2019 fino al 7,6 per cento nel 2023.

• Nel 2014, l’incidenza di povertà era su livelli simili per i lavoratori dipendenti (5,0 per cento) e indipendenti (4,7 per cento); nel 2023, i dipendenti salgono all’8,2 per cento, gli indipendenti si attestano al 5,1 per cento di incidenza rispettivamente.
• Operai e assimilati sono l’unico sottogruppo di lavoratori la cui incidenza di povertà è costantemente superiore alla media nazionale, con una differenza rispetto alla media cresciuta di 3,0 punti percentuali tra il 2014 e il 2023 (da 1,8 a 4,8), corrispondente a un aumento dell’incidenza dall’8,7 al 14,6 per cento.

• Tra il 2020 e il 2022 l’erogazione del RdC
ha permesso di uscire dalla povertà a 404 mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022. Per quanto riguarda gli individui, l’uscita dalla povertà ha riguardato 876 mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021 e nel 2022.

• Senza il RdC, l’incidenza di povertà assoluta familiare nel 2022 sarebbe stata superiore di 3,8 e 3,9 punti percentuali rispettivamente nel Sud e nelle Isole. Tra le famiglie in affitto, l’incidenza di povertà sarebbe stata 5 punti percentuali superiore. Tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione, l’incidenza avrebbe raggiunto il 36,2 per cento nel 2022, 13,8 punti percentuali in più.

• L’erogazione del RdC ha portato il Poverty gap a una riduzione da 9,1 a 5,2 miliardi nel 2020, da 9,5 a 5,2 miliardi nel 2021, e da 9,8 a 6,2 miliardi nel 2022.

• Nel nostro Paese, il 13,5 per cento dei minori di 16 anni è in deprivazione materiale e sociale (circa 1 milione 127 mila ragazzi e ragazze), 0,5 punti percentuali in più della media dell’Unione europea. Il rischio di povertà monetaria raggiunge il 25,6 per cento, al quarto posto dopo Romania, Spagna e Lussemburgo, e superiore alla media europea di 6,5 punti percentuali.

• Nel 2021, la quota di minori in condizioni di deprivazione raggiungeva il 20,1 per cento nel Mezzogiorno, mentre nel Centro l’incidenza della deprivazione era pari a 5,7 per cento, valore dimezzato rispetto all’11,7 del 2017. Nel Nord si registra invece un peggioramento delle condizioni di vita dei minori di 16 anni, dall’8,5 per cento del 2017 all’11,9 del 2021.

• La deprivazione alimentare interessa complessivamente il 5,9 per cento dei minori di 16 anni (6,2 per cento nel Nord, 2,5 nel Centro e 7,6 nel Mezzogiorno).

• Nel 2022, c’è stata una crescita del 50 per cento nel costo medio unitario dell’elettricità e del 34,7 per cento per quello del gas naturale. L’aumento dei prezzi è stato contrastato da ingenti interventi governativi, pari a 16,8 miliardi di euro.

• Gli ingenti sussidi energetici, sommati ai minori consumi dovuti a temperature mediamente più elevate, hanno portato a una riduzione della povertà energetica di 0,8 punti percentuali, dall’8,5 al 7,7 per cento (per 2 milioni di famiglie interessate).

• Si è ridotto il numero delle famiglie in povertà energetica nelle Isole, nel Sud e nel Centro, a fronte di una stabilità nel Nord-est. Si conferma una maggior incidenza del fenomeno nelle aree suburbane e nei piccoli centri rispetto alle grandi aree metropolitane.

• La povertà energetica appare in controtendenza per le famiglie con minori e per le famiglie con persona di riferimento straniera. Nel 2022 era in povertà energetica il 10,2 per cento delle famiglie con minori, in crescita rispetto al 2021 di circa 0,7 punti percentuali.

Come cambia la vita quotidiana
Le nuove generazioni

• Tra i giovani di 16-24 anni, negli ultimi venti anni è più che raddoppiata la percentuale di utenti regolari di Internet (dal 46,7 per cento nel 2003 al 97,6 per cento nel 2023): un uso generalizzato che ha annullato le differenze di genere e territoriali prima esistenti. Resta, tuttavia, un ritardo da parte dei ragazzi residenti in Italia nell’acquisizione di alcune competenze digitali rispetto ai coetanei europei.

• Incontrarsi con i propri amici è una caratteristica peculiare dei più giovani, sebbene la rarefazione delle frequentazioni in presenza sia una tendenza che si osserva da lungo tempo. La quota di giovani che incontra assiduamente gli amici si è ridotta significativamente nel tempo passando dal 94,8 per cento del 2003 all’88,0 per cento del 2023.

• Nel 2023, il 40,2 per cento dei 16-24enni ha svolto almeno un’attività di partecipazione politica, con una riduzione significativa rispetto al 54,5 per cento del 2003; l’8,0 per cento ha svolto attività di volontariato, con una riduzione significativa rispetto a venti anni prima (era 11,0 per cento nel 2003).

• Nel 2023, il 53,3 per cento dei giovani tra 16 e 24 anni ha svolto almeno due attività culturali fuori casa nel corso di un anno, quota stabile rispetto a venti anni prima (il 52,3 per cento nel 2003). Inoltre, poco più della metà dei giovani legge almeno un libro l’anno (il 53,5 per cento nel 2003 e il 51,4 per cento nel 2023). Oggi come venti anni fa, le ragazze partecipano più dei ragazzi.

• I giovani si confermano la fascia di popolazione che dichiara più spesso buone o molto buone condizioni di salute (circa 9 ragazzi di 16-24 anni su 10). Negli anni più recenti, tuttavia, si osserva un peggioramento degli indicatori di salute mentale, in particolare per le ragazze. L’indice di salute mentale già ridottosi nel 2021 in concomitanza del periodo pandemico (arrivando a 65,9 su 100 tra le ragazze), scende ulteriormente nel 2023 (da 68,2 del 2022 a 66,5).

• Tra i ragazzi di 16-24 anni è in peggioramento l’eccesso di peso, passato dal 10,6 per cento del 2003 al 15,6 per cento del 2023), con un incremento più marcato a partire dal 2017.

• Tra il 2003 e il 2023 si riduce tra i giovani il consumo giornaliero di bevande alcoliche (dall’11,2 per cento al 4,8 per cento) ma si osserva l’aumento del consumo occasionale (dal 56,3 per cento al
59,1 per cento) e di quello fuori pasto (dal 35,5 per cento al 39,7 per cento).

• Anche l’abitudine al fumo si riduce tra i 16 e i 24 anni (dal 24,2 per cento del 2003 al 19,9 per cento del 2023), ma si registra un incremento di nuove tipologie di consumo di tabacco e nicotina. La sigaretta elettronica è passata dallo 0,8 per cento del 2014 all’8,6 per cento nel 2023. Il tabacco riscaldato non bruciato, monitorato a partire dal 2021, è passato dal 4,6 per cento all’8,4 per cento.

• Negli ultimi venti anni aumenta la pratica sportiva tra i giovani (dal 54,2 per cento del 2003 al 57,7 per cento del 2023). Parallelamente, si è osservato un lieve aumento dell’attività fisica (dal 18,7 per cento al 20,6 per cento). Queste dinamiche si riflettono in una riduzione della sedentarietà tra i giovani (dal 26,6 per cento del 2003 al 21,7 del 2023).

• Nel 2023 oltre la metà dei giovani di 16-24 anni esprime un voto tra 8 e 10 per la propria vita. Le dimensioni con i livelli di soddisfazione più elevata sono il tempo libero e la salute, ambiti in cui è massima la differenza con il resto della popolazione. Quanto alla soddisfazione economica, nel 2023 4 ragazzi su 10 di 16-24 anni si dichiarano poco o per niente soddisfatti.

 

Le trasformazioni nella fase adulta della vita

• Nel 2023, tra la popolazione adulta di 25-64 anni, l’uso regolare di Internet ha raggiunto l’89,7 (in crescita rispetto al 26,2 per cento del 2003). Nell’arco di questi venti anni si è annullato il divario di genere a favore degli uomini (che fino al 2010 era superiore a 12 punti percentuali), ma permangono forti differenze per livello di istruzione e per territorio, con elevato gradiente Nord-Mezzogiorno.

• Il supporto della rete amicale (di cui nel 2023 beneficiano più di 7 adulti su 10) ha un ruolo centrale soprattutto per i giovani adulti di 25-34 anni. Oltre i due terzi della popolazione adulta dichiara, invece, di poter contare sui vicini in caso di necessità. La possibilità di contare su una rete di parenti non conviventi (riguarda il 57,0 per cento nel 2023) registra l’incremento più significativo nel corso degli anni (era il 50,8 nel 2013).

• Nel 2023 è pari al 37,6 per cento la quota di persone di 25-64 anni che fanno attività di partecipazione politica. Rispetto al 2003 si è osservata una riduzione significativa sia della partecipazione politica (era il 52,7 per cento) sia di quella in attività di volontariato (8,5 nel 2023 contro 9,6 per cento nel 2003).

• Negli ultimi 20 anni, tra la popolazione adulta si è osservato un aumento della partecipazione culturale fuori casa (dal 35,9 del 2003 al 38,3 per cento del 2023), mentre diminuisce la quota di adulti che legge almeno un libro l’anno (dal 44 per cento del 2003 al 40,9 per cento del 2023).

• Nel 2023 poco più di 7 adulti su 10 dichiarano di stare bene o molto bene in salute, con valori più elevati tra gli uomini rispetto alle donne (il 75,7 per cento contro il 69,8 per cento). Nel tempo si osserva una complessiva stabilità nelle quote di adulti in buona salute.

• Nel 2023, l’indicatore di eccesso di peso tra gli adulti è in peggioramento rispetto a venti anni prima (dal 42 per cento del 2003 al 45,2 per cento del 2023) e con valori che si confermano nettamente più elevati tra gli uomini (55,5 per cento contro 34,9 per cento delle donne nel 2023).

• Tra il 2003 e il 2023 è stabile il consumo di alcol nell’anno (poco più di 7 adulti su 10), ma si è dimezzato il consumo giornaliero ed è quasi raddoppiato quello occasionale e fuori pasto, che è cresciuto di più tra le donne, riducendo la differenza di genere. Si è ridotto, invece, il consumo abituale eccedentario, mentre è cresciuta l’abitudine a ubriacarsi, specialmente nella fascia 35-44 anni (dal 7,9 per cento del 2003 al 12,4 per cento del 2023).

• Tra il 2003 e il 2023 diminuisce l’abitudine al fumo della popolazione adulta (dal 29,1 per cento al 23,7 per cento). Nel tempo, la distanza uomo-donna si riduce per effetto di una flessione meno marcata dell’abitudine al fumo tra le donne: dal 22,3 per cento al 19,3 per cento, mentre per gli uomini si passa dal 36,0 per cento al 28,1 per cento.

• Tra il 2003 e il 2023 la quota di adulti che non praticano né sport né attività fisica diminuisce (dal 39,5 per cento al 31,5 per cento). La distanza uomo-donna si è molto ridotta nel tempo, perché il calo tra le donne è stato circa il doppio di quello degli uomini. Parallelamente, è aumentata la pratica sportiva (dal 29,4 per cento al 37,8 per cento), specialmente di tipo continuativo.

• Nel 2023 la famiglia soddisfa circa 9 adulti su 10, seguita dagli amici (poco più di 8 su 10) e dalla salute (circa 8 adulti su 10). La soddisfazione per la situazione economica e per il tempo libero sono le aree con livelli di soddisfazione più bassi (quasi 6 persone su 10), ma per il tempo libero nel tempo si osserva il miglioramento più marcato.

 

Invecchiare bene in una società che invecchia

• Nel 2023 solo 4 persone di 65 anni e più su 10 dichiarano di utilizzare Internet regolarmente, quota in netto miglioramento rispetto al 2003 (erano l’1,6 per cento). Si mantengono elevate anche nel 2023 le differenze di genere (47,0 per cento degli uomini a fronte del 34,6 per cento delle donne) e tra Nord e Sud del Paese.

• Nel 2023, quasi 8 persone di 65 anni e più su 10 possono contare sul sostegno di amici, vicini o parenti non conviventi). Il 65,1 per cento dichiara di potere contare sui vicini, il 59,6 per cento sugli amici e il 48,3 per cento su e parenti non conviventi.

• Tra le persone di 65 anni e più i livelli di partecipazione politica sono cresciuti nel tempo: 6 anziani su 10 nel 2023 contro poco più di 5 su 10 nel 2003. È tra la popolazione di 65-74 anni che si è raggiunta la quota più elevata (64,5 per cento nel 2023), ma è tra gli ultra-settantaquattrenni che si è registrato l’incremento più marcato rispetto al 2003 (+8,1 punti percentuali).

• Tra il 2003 e il 2023, la quota di persone di 65 anni e più che svolgono attività di volontariato è cresciuta di 1,7 punti percentuali (dal 5,4 per cento al 7,1 per cento). Lo stesso andamento si è osservato per la partecipazione sociale che è passata dal 10,0 per cento all’11,4 per cento.

• Nel 2023, il 17,2 per cento delle persone di 65 anni e più ha svolto ad almeno due attività culturali fuori casa nel corso di un anno, valori di oltre una volta e mezzo superiori rispetto al 2003; inoltre è aumentata l’abitudine a leggere almeno un libro l’anno (il 23,5 per cento nel 2003 contro il 29,5 per cento del 2023).

• Per gli anziani si evidenzia nel tempo un miglioramento delle condizioni di salute: le persone in buona salute sono passate dal 29,4 per cento del 2009 al 37,8 per cento del 2023 e, parallelamente si è ridotta la condizione di multicronicità (dal 38,7 per cento del 2003 al 34,3 per cento del 2022).

• Tra il 2003 e il 2023 è cresciuta la quota di anziani che fa una colazione adeguata (dal 79,8 per cento all’85,1 per cento); stabile il consumo giornaliero di 4 o più porzioni di frutta e/o verdura che riguarda circa un anziano su quattro. Stabile anche l’eccesso di peso (poco più di 5 persone su 10), sebbene in aumento la parte dell’indicatore relativa all’obesità (dal 13,6 per cento al 14,8 per cento).

• Il consumo di alcol nell’anno è stabile tra la popolazione anziana (poco più di 6 anziani su 10 sia nel 2003 sia nel 2023), con quote più elevate tra gli uomini che tra le donne (circa 80 per cento contro 50 per cento). L’analisi dei consumi più a rischio evidenzia una riduzione di chi supera i livelli giornalieri raccomandati (dal 28,3 per cento del 2003 al 16,7 per cento del 2023).

• In peggioramento l’abitudine al fumo per i giovani anziani di 65-74 anni (che passano dal 12,6 per cento al 15,6 per cento) e, viceversa, in lieve miglioramento nella fascia dei 75 anni e più. A fronte di una riduzione della quota dei fumatori tra i maschi, tra le donne le quote di fumatrici sono raddoppiate (da 4,4 per cento a 8,8 per cento).

• Tra il 2003 e il 2023 raddoppiata la quota di anziani che praticano sport (dal 6,7 per cento al 16,4 per cento). Tale andamento ha riguardato sia gli uomini sia le donne, ma con livelli più accentuati tra quest’ultime riducendo in tal modo il divario di genere in questa fascia di età.

• Gli anziani mostrano rispetto alle altre fasce di età livelli di soddisfazione mediamente più bassi; è pari al 72,8 per cento la quota di soddisfatti nei confronti degli amici, al 69,2 per cento per il tempo libero, al 63,5 per cento per la salute e al 62,0 per cento per la situazione economica.

 

CAPITOLO 4 – L’ITALIA DEI TERRITORI: SFIDE E POTENZIALITÀ

Il territorio, con le sue specificità economiche, demografiche, sociali e culturali rappresenta un momento di sintesi delle complesse trasformazioni in atto a livello nazionale e globale, evidenziando potenzialità e vincoli a livello locale.
Nell’ultimo decennio la popolazione italiana diminuisce di oltre un milione di persone ed è il Mezzogiorno a subire il calo maggiore. Le previsioni demografiche di lungo periodo indicano un rafforzamento della tendenza allo spopolamento delle aree economicamente meno attrattive e all’invecchiamento. In prospettiva, saranno i più giovani e la popolazione attiva a diminuire, mentre crescerà in misura consistente la popolazione in età avanzata, soprattutto al Centro-Nord. Nel Mezzogiorno il fenomeno è già molto severo poiché la denatalità si associa da tempo alla ripresa dei flussi migratori.

La transizione demografica è avvenuta in contemporanea con un’intensa crescita della popolazione nelle città. Oggi, e ancora di più nel futuro, si prospettano centri urbani sempre più affollati di residenti di 65 anni e più. Ciò comporta un’attenzione speciale affinché i grandi centri urbani possano essere laboratori in cui mettere in campo azioni e ridefinire spazi per invecchiare bene.

La forza economica rappresenta una chiave di lettura dei divari territoriali particolarmente efficace. Le diverse misure in quest’ambito mostrano il permanere degli squilibri tra Nord e Sud del Paese. Negli ultimi 20 anni non vi è stata l’auspicata convergenza verso la media Ue27 nell’ambito delle politiche di coesione: anzi, in molti casi il divario si è ampliato. Solo dal 2019 si è osservato un parziale recupero.

Ai persistenti ritardi economici si associano manifestazioni di fragilità più diffuse nei territori e nella popolazione del Mezzogiorno. Emergono, tuttavia, anche segnali di vitalità e di innovazione, come quelli messi in luce con riferimento ai settori agricolo e culturale-creativo.

 

Il contesto territoriale: divari demografici, infrastrutture e servizi

• Nell’ultimo decennio (2012-2023) la popolazione italiana è diminuita di oltre un milione di unità
(-1,8 per cento). Hanno subito un intenso declino demografico in prevalenza le regioni del Mezzogiorno (-4,7 per cento la variazione media della ripartizione, dovuta in buona parte alle migrazioni interne), a fronte di una perdita complessivamente trascurabile del Centro-Nord
(-0,3 per cento).

• Fra il 2002 e il 2012 la popolazione residente in Italia è cresciuta di oltre tre milioni di unità. Tale variazione ha interessato prevalentemente il Centro-Nord (circa il 90 per cento della quota aggiuntiva, un milione di persone nel solo Nord-ovest), soprattutto grazie a un saldo migratorio positivo, trainato dalla componente estera e residualmente dal Mezzogiorno, dove Molise, Basilicata e Calabria già in questo periodo hanno registrato una perdita di popolazione tra il 2 e il 3 per cento.

• Dal 2012, a livello medio nazionale l’indice di vecchiaia – dato dal rapporto tra popolazione di 65 anni e più e di età tra 0 e 14 anni – è aumentato di 44,7 punti (+61,4 dal 2002), a 193,1. La differenza massima si ha in Sardegna (88,3 punti), dove la popolazione residente è al contempo tra le più longeve d’Italia e con la fecondità più bassa.

• Le previsioni demografiche indicano una tendenza allo spopolamento e all’invecchiamento: entro il 1° gennaio 2042, la popolazione residente in Italia potrebbe ridursi di circa 3 milioni di unità, e in 50 anni (1° gennaio 2072) di oltre 8,6 milioni.

• Il tema dell’accessibilità alle infrastrutture di trasporto è strettamente legato a quello della perifericità dei territori e alle strategie di pianificazione territoriale. Un quinto della popolazione italiana, circa 12 milioni di abitanti, risiede in Comuni con accessibilità elevata ai servizi, mentre in quelli con accessibilità scarsa (per lo più di Aree Interne) abita il 2,2 per cento circa dei residenti.

• In media il 55,5 per cento dei Comuni – in cui risiede l’84,7 per cento della popolazione – dista al massimo 15 minuti dall’ospedale dotato di Pronto soccorso o DEA (Dipartimenti di emergenza) di I o II livello più vicino, e Il 98,7 per cento della popolazione in Comuni distanti al massimo mezz’ora.

• Sussistono notevoli differenze sul territorio, associate all’urbanizzazione: dista al più 15 minuti da un ospedale il 75,5 per cento dei Comuni lombardi, contro il 14,5 per cento dei Comuni della Basilicata (93,4 e 41,6 per cento le quote di popolazione).

• Nel 2022, in Italia si contano 4.416 musei, monumenti e aree archeologiche aperti al pubblico, di cui 473 (10,7 per cento) situati in Comuni metropolitani con il 51,7 per cento dei visitatori totali. 3.943 musei e istituti similari sono situati fuori delle grandi città, di cui oltre la metà in Comuni con alta accessibilità, con una media di 16.179 visitatori per museo, superiore al valore medio nazionale (13.222 visitatori), e a quello dei musei presenti in Comuni con bassa accessibilità (12.500).

• Il 61,8 per cento degli istituti museali ha adottato interventi di abbattimento delle barriere architettoniche volti a favorirne la fruizione per visitatori con disabilità, quali: installazione di servizi igienici a norma; rampe; cunei e scivoli. I musei nei grandi centri urbani hanno un livello di accessibilità tre volte superiore rispetto ai piccoli e medi centri, e quelli più distanti dai Comuni Polo hanno meno dotazioni e servizi per la disabilità.

• La scuola italiana dispone di un consistente patrimonio edilizio (nel 2023 oltre 61.300 edifici). Come già nel 2018, poco più del 16 per cento degli edifici non risulta servito dal trasporto pubblico. L’accessibilità è però complessivamente migliorata per tutti gli altri: il trasporto locale consente di raggiungerne agevolmente (fermata entro 250 metri) il 58,9 per cento (dal 53,9 nel 2018); quello inter-urbano (fermata entro 500 metri) il 47,4 per cento (dal 43,1 nel 2018), e quello ferroviario (stazione entro 500 metri) il 10 per cento (9,3 per cento nel 2018).

• La raggiungibilità degli edifici scolastici presenta svantaggi nel Mezzogiorno e nelle Aree Interne. Nel primo caso il trasporto pubblico locale ne raggiunge il 53,1 per cento, nel Centro-nord circa due su tre (63 per cento). Nelle Aree interne ultra-periferiche le criticità (33,6 per cento) superano i casi positivi (28,9 per cento).

 

Giovani e anziani, risorse per i territori

• I giovani sono i principali protagonisti del calo demografico in atto nella società italiana. Nel 2023 in Italia si contano poco più di 10 milioni 330 mila giovani in età 18-34 anni, con una perdita di
oltre 3 milioni dal 2002 (-22,9 per cento). Rispetto al picco del 1994, il calo è di circa 5 milioni
(-32,3 per cento).

• La riduzione dei giovani dal 2002 al 2023 è stata del 28,6 per cento nel Mezzogiorno, a causa della denatalità e della ripresa dei flussi migratori, contro il 19,3 nel Centro-Nord, dove il fenomeno è attenuato da saldi migratori positivi e dalla maggiore fecondità dei genitori stranieri.

• Per l’operare di fenomeni similari, la riduzione è stata più ampia nelle Aree interne (-25,7 per cento) rispetto ai Centri (-19,9), e nelle Zone rurali (-26,9 per cento) rispetto alle Città (-19,2 per cento); nel Mezzogiorno, il calo è più ampio in ciascuna di queste tipologie.

• Gli attuali giovani hanno transizioni sempre più protratte verso l’età adulta. Nel 2022, il 67,4 per cento dei 18-34enni vive in famiglia (59,7 per cento nel 2002), con valori intorno al 75 per cento in Campania e Puglia. Si posticipano anche la nuzialità e la procreazione. Nel 2022, l’età media al (primo) matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.

• Le città metropolitane sono un caso di studio importante sull’invecchiamento. In Italia il 24 per cento della popolazione ha oltre 65 anni e oltre un terzo di questa (circa 5 milioni) vive nelle 14 città metropolitane. L’indice di vecchiaia è più basso della media nazionale (182,9; 193,1 in Italia), ma nei contesti metropolitani del Nord è maggiore (198,5) rispetto al Sud (175,8). Quasi un terzo di questi anziani vivono da soli, contro meno del 30 per cento a livello nazionale. D’altra parte, sono anche più istruiti rispetto alla media nazionale: oltre un terzo è in possesso almeno del diploma (circa un quarto in Italia) e l’11,1 per cento ha conseguito una laurea o altro titolo terziario (oltre l’8 per cento di media nazionale).

• In Italia nel 2021 la mortalità evitabile, compresa quella da COVID-19, è di 19,2 decessi ogni 10 mila abitanti, di cui 12,8 per cause prevenibili e 6,4 per cause trattabili. La pandemia ne ha invertito la tendenza alla riduzione, con un impatto negativo più pronunciato nel Nord-ovest che, nel 2020, superava di quasi 2 decessi ogni 10 mila abitanti la media nazionale. La mortalità evitabile è relativamente più elevata nel Mezzogiorno: nel 2021, pari a 22,1 decessi ogni 10 mila abitanti nel Sud (14,7 per la parte prevenibile, 7,7 quella trattabile) e a 21,4 nelle Isole (rispettivamente 13,7 e 7,7 decessi ogni 10 mila abitanti).

• A partire dal quadro concettuale definito dalla Commissione inter-istituzionale sulla povertà educativa, sono stati calcolati due indici sintetici a fini esplorativi, uno relativo alla carenza di risorse (della famiglia, della scuola, e dei luoghi di vita), l’altro sulle difficoltà negli esiti scolastici, a livello di regione e per grado di urbanizzazione del Comune di residenza (Città, Sobborgo urbano e Zona rurale).

• Una situazione di carenza di risorse e di difficoltà negli esiti più accentuata della media riguarda tutte le tipologie di comune in Sicilia, Puglia e Campania, e molte Zone rurali del Centro-Nord (Lazio, Liguria, Emilia-Romagna). Carenza di risorse ma esiti scolastici migliori della media si osservano in molte aree rurali, le città del Lazio, della Calabria e della Puglia, e nei Sobborghi della Lombardia.

• Una situazione meno compromessa rispetto alla media nazionale sia per risorse sia per gli esiti riguarda la maggior parte delle città del Centro-Nord (fanno eccezione quelle del Piemonte, Liguria e Toscana per gli esiti, e le città del Lazio per le risorse) e, nel Mezzogiorno, le città di Abruzzo, Basilicata e Molise. Dotazione relativamente vantaggiosa di risorse ma esiti scolastici peggiori della media caratterizzano le città del Piemonte, della Liguria e della Toscana, e città e Sobborghi urbani della Sardegna.

 

La coesione: divari, opportunità, fragilità

• Il PIL pro capite nazionale, in termini reali, solo nel 2023 ha recuperato il livello del 2007. Invece, con riferimento al 2022, il recupero è stato pieno solamente nelle ripartizioni del Nord, mentre il Centro, le Isole e il Sud registrano uno svantaggio, rispettivamente, di 8,7; 7,3; 3,4 punti percentuali, con un’accentuazione delle disparità.

• Divari territoriali emergono in modo evidente nell’occupazione, nella densità di imprese e nella produttività del lavoro. Nel 2021, oltre il 50 per cento delle province del Nord mostra una densità di imprese superiore alla media nazionale (12,5 per il Sud e 7,1 per cento per le Isole). Riguardo al numero di addetti ogni mille residenti in età lavorativa, la quasi totalità delle province del Nord supera la media nazionale; una sola nel Sud (Chieti). Al contrario, nessuna provincia del Sud e delle Isole è migliore della media riguardo alla produttività del lavoro (solo 3 province del Centro: Roma, Firenze e Pisa). Le imprese economicamente solide sono radicate maggiormente nelle province del Nord (96 per cento nel Nord-ovest; 81,8 nel Nord-est); di contro, nel Sud e nelle Isole una quota ridotta di province (rispettivamente l’8,3 e il 7,1 per cento) fa meglio della media nazionale.

• Una lettura di sintesi della robustezza economica dei territori segnala, nel Nord, 21 province economicamente forti e 2 nel Centro (Roma e Firenze). Nel Sud e nelle Isole predominano i territori a bassa solidità economica (rispettivamente 17 e 12 province). Questi risultati riflettono le ampie disparità tra sistemi socio-economici territoriali in Italia, con i raggruppamenti molto forti che guadagnano popolazione (+9 per cento dal 2002 al 2022), anche in virtù di una maggiore attrattività nei flussi migratori (+6,6 per mille residenti), mentre le province con economie più deboli perdono residenti (-3,4 per cento) e presentano un saldo migratorio negativo (-0,5 per mille residenti).

• La politica di coesione destina un terzo del bilancio europeo alla promozione di uno sviluppo equilibrato dei territori. Nonostante ciò, negli ultimi 20 anni nel caso delle Regioni italiane meno sviluppate il divario nel Pil pro capite con la media dell’Ue27 si è ampliato. Solo dal 2019 si è osservato un parziale recupero, con tassi di crescita del Pil pro capite superiori al dato medio europeo in quasi tutte le regioni italiane, a eccezione di Abruzzo, Umbria, Toscana, Lazio e Piemonte.

• Il differenziale del Pil pro capite delle regioni italiane meno sviluppate rispetto alla media dell’Ue27, riflette tassi di occupazione e produttività del lavoro meno elevati. Tra il 2004 e il 2023, il tasso di occupazione 15-64 anni in Italia è cresciuto dal 57,4 per cento al 61,5 per cento, con un aumento di quasi 900.000 occupati nella stessa fascia d’età. Tuttavia, il divario con la media dell’Ue27 è cresciuto da circa 4,4 a 9,8 punti percentuali.

• Un ambito vitale dell’economia è rappresentato dal settore culturale e creativo, nel 2021 costituito da 365.496 unità locali (7,4 per cento del totale), con 878.250 addetti (5 per cento del totale delle imprese italiane), generando 37,8 miliardi di euro di valore aggiunto (4,1 per cento). Tali imprese hanno una maggiore concentrazione nel Centro-Nord (7,6 per cento nel Nord-ovest; 8,4 per cento nel Nord-est e nel Centro) rispetto al Mezzogiorno (5,6 per cento al Sud; 5,5 per cento nelle Isole), che è però la ripartizione più dinamica nella creazione di nuove attività.

• L’Italia dell’agricoltura può essere suddivisa in cinque gruppi: (1) il “Mezzogiorno a bassa redditività” dove si localizza il 37,2 per cento delle unità, con bassa redditività, ma buona propensione per il biologico (21 per cento del gruppo); (2) il “Centro-nord innovativo, integrato e redditivo” (26,8 per cento delle aziende); (3) il “Nord multifunzionale e ad elevata produttività” (16,5 per cento delle aziende, di cui 42,2 per cento innovative); (4) le “Zone montane a bassa densità di aziende agricole” (0,8 per cento delle aziende); (5) “l’altro Mezzogiorno bio e performante” (18,7 per cento delle aziende).

• Il “Nord multifunzionale ad elevata produttività” si colloca tra Milano e Torino, mentre il Nord-est si compone di diverse enclave. Le aree con alta produttività del Mezzogiorno si localizzano soprattutto in zone costiere della Puglia, della Calabria ionica settentrionale e tirrenica meridionale, nell’area vesuviana, nella Sicilia orientale e nel Sud della Sardegna con alta propensione all’export (2,8 per cento). Al Centro (nord della Toscana, nord-est di Roma, agro-pontino) si trovano altre aree ad elevata produttività, con aziende prevalentemente del secondo gruppo, integrate verticalmente
(56,5 per cento) e redditive (47,2 per cento).

• Nel 2004 le aziende agrituristiche in Italia erano poco più di 14 mila, nel 2022 il loro numero è quasi raddoppiato (26 mila circa). Il tasso di crescita medio annuo è del 3,8 per cento, omogeneo per tutte le macroaree. Nello stesso periodo aumentano le strutture con il servizio di degustazione (tasso medio annuo di variazione +4,5 per cento), probabilmente anche grazie alla connessione del settore agrituristico con quello dei prodotti di qualità DOP e IGP. Nel 2022 gli arrivi nelle strutture agrituristiche superano i quattro milioni, registrando un forte recupero sia rispetto al 2021 (+35 per cento), sia al 2019 (+8,5 per cento).

• L’Indice di Fragilità Comunale (IFC) misura l’esposizione dei territori comunali ai rischi di origine naturale e antropica, nonché alle condizioni di criticità connesse alle caratteristiche demo-sociali della popolazione e del sistema economico-produttivo. Nel 2021 i comuni con livelli di fragilità massima o molto alta sono il 16,1 per cento del totale e vi risiede l’8,7 per cento della popolazione (circa 5 milioni di persone).

• La distribuzione geografica conferma il divario tra i territori del Nord e quelli del Mezzogiorno. In quest’ultima ripartizione, infatti, il 40,2 per cento dei Comuni e il 24,4 per cento della popolazione ricadono nelle due classi più a rischio. Al contrario, i Comuni caratterizzati da livelli di fragilità minima o molto bassa sono più diffusi nel Nord-est (56,9 per cento dei Comuni e 78,6 per cento della popolazione). I valori più critici dell’indice interessano i Comuni della Calabria (63,9 per cento) e della Sicilia (55,9 per cento).

• Nel corso del triennio 2018-2021 si riduce l’incidenza dei Comuni e della popolazione che insiste nei territori più fragili (rispettivamente -3,9 e -2,9 punti percentuali) e aumenta quella dei territori meno fragili (rispettivamente 5,1 e 8,6 punti percentuali). Il calo della quota di Comuni in condizioni più critiche interessa prevalentemente le Isole e le regioni del Sud, a eccezione dell’Abruzzo.

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